domenica 14 febbraio 2021

Bastava ascoltare Gaber


di lorenzo merlo ekarrrt 310121

 C’è un rosario di evidenze che unisce le perle della crisi del 2008 a quella della gestione della presunta* pandemia? C’è in atto un’azione per conformare società idonee a essere gestite dai fuochisti del vapore del mondo? L’eventualità di un epilogo cruento con reazioni di tipo rivoluzionario, ha un’alternativa di tipo diverso?

Per una volta mi sarebbe piaciuto essere un economista. Avrei compiutamente citato bond e subprime, banche, persone, percentuali e istituti. Non lo sono. Ed è meglio. Mi evito che qualcuno si attacchi ai particolari. Ma non come fanno gli sfortunati inetti all’astrazione, con i quali è difficile andare oltre le forme, oltre le apparenti differenze. Piuttosto come fanno quelli lucidi nel leggere chi gli parla. Nel comprendere la logica di base dell’interlocutore. Sono quelli che hanno le doti per deviare il discorso quando non torna comodo seguirlo. Piazzano un diversivo degno di Sun Tzu e il gioco, con buona probabilità, è fatto. Un buon diversivo è tale quando rapisce e sposta l’attenzione per il tempo necessario a compiere la missione dei nostri interessi.

La crisi del mercato immobiliare americano scoppiata nel 2008, 12 anni fa, si è propagata in tutto il mondo capitalista occidentale. Nel giro di pochi anni, la Grecia è fallita, altri stati hanno traballato, tutti i mercati europei sono stati terremotati. Quelli asiatici ne hanno risentito riducendo la crescita del Pil, il Giappone in particolare. Solo Cina e India sono rimaste escluse dalla crisi. In questo collasso finanziario qualcuno ha osservato il culmine del capitalismo stesso, il termine della sua egemonia sulle menti.

È stato scavato un baratro tra la vita a misura d’uomo e quella virtuale. Per nasconderlo, lo si è riempito di avidità camuffata in tutti i modi possibili, con tutti i diversivi necessari, fossero guerre, leggi popolari sull’assistenza sanitaria. E molti seguitavano a credere che opportuni correttivi dei regolamenti avrebbero mantenuto il capitalismo in testa alla classifica dei migliori mondi possibili.

Ma il fondo del baratro non ha retto il peso di tanta avidità. Il vuoto che ne restava era il segno, sia di un sistema che aveva saputo fare promesse e che aveva saputo venderle, che di una consapevolezza diffusa e crescente su come realmente veniva e viene concepito il cittadino medio da parte di chi possedeva e possiede i mezzi per guidarne i comportamenti. Su un crescente senso di ingiustizia, vessazione, alienazione. Ma anche – ed è il punto – che i mezzi e le strategie che lo avevano fino a quel momento sorretto non sarebbero più bastate. Era necessaria un’idea guida di nuova generazione, che non mandasse il banco definitivamente all’aria. Le rivolte di carattere rivoluzionario, temute da molti osservatori, dovevano essere scongiurate. Conflitti locali avrebbero sovvertito l’ordine e sostituito i vassalli e i valvassori dei sovrani della terra. Serviva dunque qualcosa che permettesse loro di mantenere lo scettro al cospetto di un’opinione pubblica non più ingenua, quantomeno, come prima. Una nuova strategia per seguitare a godere del servizio dei subalterni del mondo.

[A dire il vero, sui subalterni ci sarebbe molto da discutere. E forse, più se ne discute – a meno di essere intellettualmente disonesti – più si devono riconoscere le responsabilità loro e dei loro esponenti politici. A meno che non si voglia mandare al macero Foucault, Pasolini, Chomsky, Morin e compagnia. Ma sarebbe bastato Gaber].

Se fino al 2008 distribuire briciole era bastante a tenerci a bada, dopo quella data e la corrispondente diffusione della consapevolezza di come siamo considerati – carne da mercato –, è emersa la necessità di mettere in campo diversivi di maggior spessore.

Ma nonostante la caduta rovinosa, le élite e il loro occulto vertice, alla faccia di tante nefaste previsioni, non stanno per essere sopraffatte. Hanno tutto sotto relativo controllo. E non per buona sorte, per intelligenza strategica e mezzi economici. In più, con la potenza di fuoco della comunicazione – nonché di censura – di cui dispongono, hanno relativamente poco o nulla da temere. Al massimo sparirà qualcuno di loro – qualche Theodore Kaczynski c’è stato e ci sarà ancora –, ma non il corpo grasso e ben protetto della cricca. Non si può nemmeno dire che abbiano saputo reagire. Sembra infatti preferibile pensare che fossero da tempo in attesa di mettere in atto un piano all’altezza dei tempi. Chiamali stupidi!

Indipendentemente da quanto si sarebbe potuto fare prima – “Se me lo dicevi prima”: Jannacci l’ha spiegato meglio di chiunque – oggi la consapevolezza di essere ingannati è considerata perfino nella comunicazione delle banche. Non più tecnici competenti e professionali, con grande esperienza e specializzazione, ma amici che si prendono cura di te. Non come prima, pare di leggere tra le righe dei testi, nelle scelte di foto, grafica e colori. Una versione bancaria del mulino bianco, che ha avuto così tanto successo.

Il forte timore e/o la consapevolezza di essere presi in giro, legalmente derubati, si estende da anni a macchia d’olio. Chi tirava il carro – e lo tira ancora – è sul chi vive. La sfiducia nei confronti delle istituzioni e della politica è da tempo ai massimi storici e la salita non accenna a rallentare. Se la domanda è: Ma dove hai preso questo dato? Per strada, è la risposta. E se per strada circola di tutto, esci dall’ufficio con gli arazzi e gli stucchi e scendi giù, dove potrai misurare la distanza dell’uomo comune dalla politica e dalle istituzioni.

A dire il vero è stato fatto. La loro intelligence lavora alacremente per capire quanto manchi alla scintilla che sarà meglio evitare dia fuoco alla miccia del tritolo sociale. Sono per strada eccome, a maggior ragione in questa fase che nessuno è disposto a definire in altro modo che difficile.

Ma mentre per tutti la fase è impegnativa, nel senso che si continuano ad aggiungere buchi alla cintura, per qualcuno lo è – o lo è stata – per escogitare quella accennata nuova idea, il diversivo utile allo scopo del controllo sociale e del mantenimento del potere.

È forse in questo quadro che va interpretata la presunta* pandemia da SARS-CoV-2 – sempre non sia essa stessa un diversivo scelto – la quale ha dato loro il terreno per avviare una campagna mediatica, che oltre ad essere terrorizzante, contiene le indicazioni utili per vivere nel nuovo mondo. Tra cui flessibilità, proprietà privata impossibile perché troppo costosa, precarietà, accondiscendenza felice del reddito politico, responsabilità di come vanno le cose, riduzione degli spostamenti, eventuale passaporto sanitario, guerre tra poveri. Mescola tutto con il controllo sanitario, i vaccini a tappeto “per il bene di tutti” e il 5G – presentato come un passo avanti del progresso – e viene fuori la miscela utile per intendere le modalità di una riduzione demografica, diciamo, incruenta. E chi resterà loderà le élite, perché loro e solo loro si saranno occupate dell’ambiente. Loro e solo loro avranno migliorato il mondo. Accadrà non diversamente da come lo fanno ora, assumendo Greta, estraendo dal cappello economie circolari, verdi, ed economie sostenibili. Se le persone credono ora a queste miserie, loro hanno la certezza che crederanno alle prossime. Già conosciamo gli effetti della comunicazione ridondante: il cibo spazzatura è ammaliante e irresistibile; i produttori di latte vaccino ora tacciono, ma al tempo tacciono, tempo perché non hanno denaro per una campagna che sarebbe simile a quella di Hollywood, che in tutti i film faceva casualmente comparire su tutte le tavole, in mano a tutti i bambini. Altrettanto aveva fatto con le Marlboro e la Budweiser. E così via per la generazione di bisogni, per ogni scelta che non faremmo se non già presente in noi attraverso la ridondante comunicazione di commercianti e venditori.

Strutturalmente, nulla di differente, ma proprio nulla – salvo per quelli inetti all’astrazione – rispetto a quanto messo in campo a suo tempo negli Stati Uniti con la politica a tassi bassissimi dei mutui immobiliari. La sirena per la casa di proprietà incantò molti in attesa di compiere un passo verso il sogno americano. Più persone firmavano un mutuo e più persone erano controllabili: mai si sarebbero comportate in modo da comprometterne l’estinzione; mai avrebbero reagito a politiche impopolari, al crescente liberismo ammazza cristiani.

I debiti dei Paesi non saranno mai saldati, la disoccupazione non potrà calare, anzi, la flessibilità sostituirà la garanzia del posto fisso. Servono persone docili, che siano disponibili al reddito politico, che si spostino poco, che possano lasciarsi controllare contente di scaricare giga in un secondo. La riduzione della disponibilità economica incrementerà la disponibilità a non generare, a non mettere su famiglia. Incrementerà il mercato del condiviso, dello share, le proprietà private saranno tassate in modo crescente, favorendone le vendite agli stessi che ci dicono che così non avremo più spese di manutenzione, e così via; gli affitti diventeranno crescentemente strozzanti (da strozzini). Nel contempo, non potremo rinunciare al digitale, non potremo sottrarci all’obsolescenza sempre più cinica. Il cibo decente avrà prezzi più selettivi di quanto non sia già. L’assuefazione alla comunicazione indurrà crescente dipendenza e alienazione connessa. Si cercherà – più patologicamente di quanto già non sia – il nuovo messaggio, la nuova mail, la nuova notizia pur di avvertire il pulsare del succedaneo della vita, il solo disponibile alla maggioranza. Il bene del pianeta sarà a cura di multinazionali, nessuna amministrazione avrà il denaro per prendersene cura anche nel proprio piccolo. Attraverso quella vetrina, le nuove generazioni celebreranno il bosco risparmiato e contemporaneamente applaudiranno i benefattori dell’ambiente.

Il nuovo standard si sta attestando nelle persone. È uno sfregio a tutto ciò che abbiamo creduto: così come l’edonismo e l’opulenza avevano fatto a meno degli uomini che con una stretta di mano non avevano altro da aggiungere, ora la dimensione umana si ritrova con uno spazio ulteriormente ridotto nelle interazioni. Sarà materia da specialisti. Psicologi a loro volta in lotta per gestire l’alienazione, dovranno gestire quella dei loro pazienti. Insegnanti con sempre meno peso educativo diverranno tecnici che spiegano qualche on e off.

L’eros, l’infinito spirito della vita, è così rinchiuso in nuove categorie. Chi nascerà domani le scambierà come verità e su quelle fonderà la propria biografia e i propri valori. L’ultima generazione che ha toccato il mondo a misura d’uomo è in estinzione. Il diversivo ha funzionato per il tempo necessario allo scopo.

E il bello è che la fascia media sarà l’esercito di quella che le sta sopra. Saranno i collusi delle élite a difenderle, a fare il lavoro sporco. Neri e poveracci si prenderanno tutta la colpa e tutto l’odio. Farne a meno non sarà cruento, sarà normale.


* Secondo la definizione dell’Oms, una pandemia è la diffusione in tutto il mondo di una nuova malattia e generalmente indica il coinvolgimento di almeno due continenti, con una sostenuta trasmissione da uomo a uomo. La gravità di una malattia non è il parametro decisivo perché venga dichiarata una pandemia, che riguarda invece l’efficacia con la quale una malattia si diffonde.

*Presunta in quanto l’attuale tasso di mortalità – rapporto tra decessi e popolazione – mondiale del Covid-19 varia tra lo 0,3 e l’1%. Fino ad oggi la giornata più mortale è stata lo scorso 24 gennaio 2021, che ha segnato 14.045 deceduti nel mondo. Dividendo il dato per 7 miliardi e 700 milioni corrispondente alla popolazione mondiale all’ottobre 2019, risulta 0,5%. Se la mortalità per incidenti d’auto supera il 5% e se gli automobilisti sono presenti in tutti i continenti, forse si tratta di presunta pandemia.

giovedì 26 novembre 2020

La scintilla

 

di Lorenzo Merlo


Ci stiamo avviando dove non basterà un pretesto per trovarsi al punto di non ritorno?

Nella burrasca la barca è messa alla prova e così il suo equipaggio. Scricchiola fino a far pensare al peggio. Strallo, sartie e paterazzo terranno? Cederanno alla furia? Tutti si chiedono. O senza albero andremo alla deriva, naufraghi, in un mare di nere fauci? Avremo almeno la forza per lottare con il più debole di noi per strappargli di mano un brandello di fasciame per stare a galla?

Quest’ultima, una domanda che fino a ieri non avremmo avuto il sentimento per concepire. Fino a ieri la barca non scricchiolava e le sartie cantavano la loro pacifica ballata. Fino a ieri avevamo creduto un futuro simile al passato. Nella sostanza e nei valori. Ma la burrasca ha mandato all’aria i sedimenti sui quali, nonostante tutte le iniquità, di fronte a noi vedevamo terra. Quella della società, dell’identità, della cultura e, tutto compreso, della civiltà. C’era comunque molto da fare e con quello che avevamo l’avremmo fatto. C’era il senso della vita, di se stessi. C’era una bussola che ci avrebbe portato in porto, alla faccia di tutte le deviazioni magnetiche.

Sapevamo anche prima della tempesta come stavano le cose tra l’equipaggio. Antipatie, soprusi, prepotenze, minacce. Ma sentivamo che il destino era comune, che tutti avevano in sé il senso di operare per raggiungere in fondo la medesima terra. Insomma, le diatribe non erano sufficienti a generare gli ammutinamenti che molti, dentro se stessi, ringhiando minacciavano.

Ma ora che siamo al si salvi chi può, tutto è cambiato e, nonostante la peciosa notte, tutto è chiaro. Il SARS-CoV-2/Covid-19, ciò che attraverso la mediazione umano-politico-sanitaria ha messo in essere, non è che una specie di amplificatore della cacofonia sociale preesistente. Che altra sonorità sarebbe mai potuta uscire dall’individualismo, impostore di una vista avida e miope. Del resto, solo una società cariata che, in nome della globalizzazione, ha voluto gettare alle ortiche una cultura comune, non può crescere i suoi componenti e se stessa con i valori dell’evoluzione, ovvero quelli della bellezza, dell’armonia, della forza interiore, necessari alla via per la serenità esistenziale.

Era così anche prima del mondialismo? È sempre stato così? Certo. Ma se prima per mantenere il controllo del popolo bue era sufficiente un giogo affinché credesse fosse quello il suo ruolo, oggi disponiamo di un’estensione di consapevolezze che permetterebbero anche al bovino di prendere coscienza di se stesso, di divenire felino. Infatti, prendere coscienza di qualcosa ha sempre il valore di un cambio di prospettiva.

Dal bollettino meteo non ci sono notizie rassicuranti. La burrasca perdurerà. Al momento siamo solo prossimi all’imbocco del toboga argilloso e sempre più ripido. Chi non procede a testa bassa, concentrato su se stesso, chi si guarda in giro per restare in relazione col mondo, per sentire le vibrazioni d’energia, le sue folate, le sue correnti, lo intravede. E capisce che non ci saranno rami a cui attaccarsi per cercare di fermare se stessi e magari qualcun altro. Vede con chiarezza che là in fondo, dove andremo a finire, tutto brucia.

Là in fondo c’è la battaglia – che sembra fintamente più accettabile che scrivere guerra civile, tasti che bloccano le dita – verso la quale la prima narrazione del SARS-CoV-2/Covid-19, ha preparato il campo. Ha spazzato via il necessario per far esplodere la diffidenza reciproca, per compiere una visione del mondo segnata dall’odio. Con le sue doti ha esponenzializzato vecchi stridori sociali fino alla premessa della loro trasformazione in clangori catastrofici. Una bolgia di terrore e speranza, impreparata ma anche pronta per condirsi di sangue. Un inferno nel quale l’individuo viene meno e con esso la società civile stessa.

Non si tratta di distopia pessimistica, catastrofista. Quantomeno non è questa l’intenzione. La fase successiva, che si è da poco avviata, ha il vaccino come perno. Anche la più avariata sfera di cristallo è in grado di urlarlo a chiare lettere. La battaglia si svilupperà intorno al suo altare. Sulla sua giostra non ci saranno risparmi di forza bianca e nera, di verità e menzogna. Ci si batterà con tutte le armi. Le prime, razionali e scientifiche, non serviranno a nulla: il campo delle emozioni non è contiguo a quello dell’analisi. Seguiranno quelle dogmatiche e autoreferenziali. Ovvero qualcuno si ergerà credendo che il suo titolo e la sua esperienza abbiano valore universale. Ma anche queste si dimostreranno spuntate, almeno per una parte di noi, e dovranno essere presto posate in quanto inutili per mettere d’accordo tutti, per convertire allo scientismo.

Se il governo ritiene il SARS-CoV-2/Covid-19 debellabile definitivamente a mezzo del vaccino di massa critica; se ritiene che il vaccino sia innocuo, che non abbia controindicazioni, che immunizzi e basta, con altissima percentuale; se perciò lo renderà obbligatorio per il bene comune, non avrà alcuna difficoltà a sottoscrivere, contestualmente all’assunzione della vaccinazione da parte del singolo, un documento in cui si ritenga responsabile di eventualità negative per la salute del soggetto stesso. Responsabilità che potrebbero essere quantificate (in 20 milioni di euro?) in caso di morte, danni permanenti, vite stravolte.

Responsabilità che il Potere delle case farmaceutiche produttrici di vaccini è riuscito a eludere, a mezzo di normative a loro favore, in via di promulgazione dall’Unione Europea (SARS-CoV-2 e Covid-19) e dall’Italia (Influenza A). E, non a caso, esistono normative (legge 210/1992 e 238/1997) che prevedono indennizzi e risarcimenti da parte dello Stato per le persone danneggiate dall’assunzione vaccinale.

Diversamente potrebbe fare una pari campagna di informazione sui rischi impliciti nelle vaccinazioni. Potrebbe elencare la ricetta che compone il vaccino inclusi gli elementi normalmente occultati. Potrebbe organizzare un pubblico dibattito tra esperti delle parti avverse. Potrebbe precisare che i non vaccinati non avranno conseguenze di sorta, né trattamenti, accessi, ed altro differenziati rispetto ai vaccinati. Potrebbe così segnare un punto a favore della cosiddetta società civile e smetterla di pensarla bovina.

Sul fronte della comunicazione, al comando degli esperti da un lato e, di quelli che questi chiamano “ciarlatani” dall’altro, si schiereranno i rispettivi popoli. Nel caos della burrasca, che già aveva segnato nel profondo l’equipaggio, senza che nessuno se ne prenda la responsabilità, ci si ritroverà con l’asticella alzata.

E saremo al punto in cui basterà una scintilla.

Ma sarà quello il momento in cui qualcuno si alzerà dalla sedia di regia, soddisfatto del lavoro fatto.

Chi è?

Come chi investe sui morti delle epidemie e fa profitto, c’è qualcuno che prospera sulle guerre, le provoca e riaggiusta i cocci a cose fatte. Così anche in questa occasione dare per scontato che non siano esistite spinte interessate è ingenuo. Ognuno di noi mette in campo spinte interessate, anche nelle relazioni personali. Vuoi che chi più ha potere di uno stato non abbia i titoli per fare il mazziere?

domenica 15 novembre 2020

Tricolore game over

 

 

di Lorenzo Merlo 


Era il 2 giugno 1946. La guerra si era appena spenta. Gli italiani con un referendum, scelsero di istituire una Repubblica in successione al monarchico Regno d’Italia che sussisteva dal 1861.

La nuova condizione era soprattutto spirituale. Tutto il resto erano macerie e fame.

Da quei momenti gli italiani tutti si rimboccarono le maniche sospinti dalla certezza di poter andare oltre il conflitto nazionale e civile appena terminato, attratti dalla luce di un futuro totalmente nelle loro braccia e nei loro occhi.

Nel 1948 si svolsero le prime elezioni politiche che videro il 97% di votanti. Fin da subito emerse uno schieramento tra la fazione cattolica (Democrazia Cristiana) e quelle socialista e comunista (Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano) che avrebbe battagliato e caratterizzato la vita politica del Belpaese nei decenni a venire.

L’anno precedente, il 1947, aveva visto il varo del Piano Marshall. Un progetto statunitense per aiutare l’Europa a riprendersi dal disastro della guerra. (Solo molti anni dopo, si insinuerà l’idea che quel piano fosse una strategia americana per mantenere l’egemonia economica e militare mondiale).

Tra gli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘70 gli italiani seppero risorgere. Se ancora cerchiamo di valorizzare – soprattutto a parole – il Made in Italy, oltre a tutta la storia artistica e alla natura della nostra penisola, lo dobbiamo a quei decenni folgoranti. Artisti e imprenditori illuminati e una crescente consapevolezza sociale li caratterizzarono.

Tra di noi italiani, chiamiamo quel periodo gli anni del boom economico. Da una diffusa e misera condizione agreste sovrapposta ad un analfabetismo consistente, l’Italia passò all’industrializzazione e ad un’ampia distribuzione della ricchezza. Borghi, paesi, montagne e campagne si svuotarono a favore di una migrazione verso i centri metropolitani, soprattutto del Nord Italia.

Col senno di poi perfino le lotte operaie e studentesche degli anni ‘70, nonché la loro parte sanguinante, detta Anni di piombo, a carico delle loro fazioni armate (Brigate Rosse, Avanguardia Nazionale, Falange Armata, Fronte Nazionale, Nuclei Armati Rivoluzionari, Gruppi Armati Proletari, ecc. Wikipedia ne conta 72 di sinistra e 20 di destra), senza escludere la Strategia della tensione, azione di un nostrano deep state di esclusiva matrice parafascista, per quanto contenessero buone intenzioni non seppero o non bastarono ad allontanare la morte dello spirito che fino a quel momento aveva fatto l’Italia. Così, la liberazione da ipocrisie sociali (disuguaglianze) e valoriali (contestazione del qualunquismo borghese) da parte della sinistra e, anticomuniste (destra), per il rischio di divenire un ulteriore satellite sovietico e per reazione a una cultura di sinistra sempre più dominante nella vulgata e nelle istituzioni, restarono sterili battaglie fratricide fine a se stesse, prive di una visione olistica dei problemi. Che non lasciarono il tempo che trovarono ma in negativo: fecero da premessa ad un cambio di rotta che si consegnò dritti diritti in braccio al liberismo. Pure le due italie, quella del nord e quella del sud, nonostante le politiche assistenziali messe in atto da tutti i governi dell’epoca, non produssero l’unificazione che speravano.

Se per gran parte della popolazione, prima c’era una vita di sussistenza, quegli anni famosi e celebrati, contennero anche il virus di una successiva, lenta peregrinazione verso la perdita dell’identità, verso una crescente insoddisfazione. Lo spirito che aveva guidato quelle generazioni verso la luce del futuro, non solo l’aveva raggiunta, assuefatta al nuovo verbo dell’io voglio, l’aveva consumata. Fu l’avvento dell’edonismo. Erano gli anni ‘90 del secolo scorso. L’egemonia dell’individualismo spezzò le reni al senso di comunità, solidarietà, umanità. Nel boom economico l’”Utilitaria per tutti” era stato lo slogan essenziale e trainante per gran parte del popolo a quell’epoca vergine, ingenuo e frugale. Ora l’assuefazione di quello stesso popolo si muove su Suv ed è dedicato all’eccessivo e all’opulente. Lì, gli hanno insegnato, sta il progresso, il senso della vita. Le case, da contenitori di famiglie e persone, sono divenute rimessaggi di merci, accessori, duplicati, tecnologia scambiata per progresso.

La cultura nazionale cedette il proprio spazio, senza proferir parola, allo tsunami globalista. La liberalizzazione delle Tv, la diffusione del Web, la facilità di viaggiare, il presunto diritto al tempo libero, liquefecero (Zygmunt Bauman) i pilastri delle identità culturali locali. I solchi della storia entro i quali si erano sviluppate, si erano riempiti di rifiuti, scarti prodotti dal cosiddetto progresso, e di nuove attrazioni, molto simili ai frammenti di specchio che gli spagnoli mostravano ai nativi per imbambolarli e depredarli. La società era ormai liquida perché nessun valore la distingueva più dalle altre. Il globalismo aveva compiuto la sua opera spirituale.

In pochi decenni la Bella Italia buttò a mare le sue doti: non c’è quasi costa, valle, paesaggio che non sia stato deturpato da un’architettura e da una politica incapace di scegliere per il bene comune. Il turismo – fino a poco sembrava un talento naturale italiano – per politiche clientelari fa ora fatica a richiamare il mondo che a suo tempo aveva celebrato la Bella Italia. In pochi decenni anche la Destra e la Sinistra persero di vista la loro missione originaria. I cosiddetti progressisti non rappresentano più gli strati deboli, sebbene numericamente crescenti. Con l’abbraccio al liberismo si trova a esprimere se stessa secondo una sintassi politica neocapiltalistica. Idonea a prendere le distanze dai suoi ideali ordinari e capace di dialogare e fraternizzare con i detentori dei poteri. La Destra, anch’essa macinata dagli ingranaggi produttivistici, non esprime più nulla della sua verve spirituale.

Così, la credibilità della politica, sviluppatasi sotto il controllo economico-mercantile, non ha più legame con il suo elettorato. Dagli anni ‘70 del secolo scorso, la partecipazione alle elezioni, salvo qualche non significativa interruzione, è sempre scivolata verso il basso.

Le ideologie hanno fatto il loro tempo, sebbene ci sia ancora tutto un popolo che cerchi di tacere la parte restante, tacciandola di fascismo. I grandi valori di emancipazione sociale delle classi meno abbienti si sono trasmutati nella cura di diritti di minoranze che, in una società spiritualmente governata, non avrebbero alcuna necessità di essere protette, in quanto lo sarebbero implicitamente. Il rispetto delle persone, del diverso, ha bisogno di leggi ad hoc soltanto in un contesto culturale dove la prevaricazione, la paura, l’esigenza di sicurezza fanno parte dei pensieri degli individui. Invece, il politicamente corretto è divenuto così un linguaggio, una psicologia. Non attenersi significa offendere qualcuno e avviarsi all’emarginazione.

Nel frattempo debito pubblico e disoccupazione, nonostante generazioni di politici ne abbiano promesso la riduzione, è in costante incremento e, ovviamente, senza possibilità di arresto, ne, tantomeno, di riduzione.

Ora l’Italia è agli ordini globalisti, europei, della Nato americana, del becero mercato intorno al quale, insieme ad altri balla la danza della pioggia di denaro. Ma va ancora per il mondo a sventolare il gran pavese del Made in Italy. E qualcosa riesce a fare, ma solo da parte di qualche iniziativa imprenditoriale privata e solo nei confronti di una clientela internazionale che cerca di sottrarsi alla miseria della postmodernità vantando una San Pellegrino nel proprio carnet di conoscenze. L’incremento di psicopatologie, la diffusione smisurata di farmaci, l’aumento di obesi sono solo tre aspetti che meglio del Pil e delle fanfare autocelebrative rappresentano lo stato italiano e quello occidentale più in generale.

In questi tempi segnati dal virus abbiamo assistito a politiche sulle quali saranno scritti molti libri. In tutti, certamente, non mancherà di essere presente quanto quelle scelte, proclamate in nome della salute pubblica, non vi fosse invece un definitivo segno di sudditanza al mercato, ai poteri forti, alla svendita dell’Italia.

Altrove ho sostenuto – come altri autori ben più qualificati di me – il valore spirituale di una crisi. La crisi è una morte e senza di questa non c’è rinascita.

venerdì 18 settembre 2020

 

Di seguito ospitiamo volentieri l'articolo del giornalista Lorenzo Merlo dal tema "Il diversivo".

Buona lettura!

Simone Boscali

Il diversivo

lorenzo merlo - 300820

Gli stati sono strutture. Architetture desiderate, pensate, progettate, realizzate. Sono destinati a contenere un corpo sociale. Prevedono gangli di controllo e/o gestione normalmente chiamato “sistema”.

Il sistema tende a funzionare secondo la concezione auspicata in modo direttamente proporzionale all’ubbidienza degli elementi privati e associativi che in esso sono ammessi dal sistema stesso.

La disobbedienza mette in crisi il funzionamento e la sopravvivenza dell’organismo sistema.

In tempo di bassa consapevolezza generale il sistema adotta metodi di controllo e gestione ad essa confacenti e soddisfacenti. Quando il gradiente di consapevolezza generale tende a crescere, il sistema a sua volta evolve. Ciò che andava bene prima perde di efficienza e diviene necessario escogitare adeguate infrastrutture.

La Rivoluzione francese prima e l’Internazionale comunista poi – farcite da altre minori espressioni – ebbero il pregio di alzare il livello di consapevolezza comune relativamente ai dictat imposti dai sistemi governativi. L’alfabetizzazione ne accelerò il processo. Per mantenere il controllo e la gestione sociale serviva un’idea.

Gli editori della Carta stampata, imprenditori collusi all’interesse statale, misero in campo il necessario per dirigere le idee.

Il monopolio di radio e tv, moltiplicò il potenziale di fuoco comunicazionale dei giornali. L’ubbidienza generale tendeva ad essere garantita con un certo grado di sicurezza. Le emittenti poi liberalizzate accompagnarono prima il rigurgito violento degli Anni di piombo, poi si sopirono cantando e ballando l’edonismo e l’individualismo come frontiere conquistate. L’opulenza seguente spense del tutto lo spirito di bellezza. Tutti accettarono i suoi alter ego in forma di benefit e centri commerciali. Non è un caso che la voce anarchica – e le sue consimili – fosse ed è per tutti nient’altro che disturbo senza valore, da annientare e dalla quale stare alla larga.

Intanto, sebbene prevalentemente sottotraccia, la consapevolezza generale cresceva. La cosiddetta democrazia lasciava spazi associativi ed editoriali alternativi al sistema. Almeno fino ad un certo punto considerato accettabile, ovvero innocuo, ma anche funzionale alla facciata democratica.

L’avvento del web, presumibilmente liberalizzato per ragioni economico-commerciali, ha in poco tempo manifestato il suo potere di diffusione di quella consapevolezza individuale prima tenuta più facilmente sotto controllo.

Le attuali Major digitali dispongono dei dati utili per recuperare il controllo perduto. I loro clienti non siamo noi ma gli Stati. Il potenziale di fuoco informatico a loro disposizione sostituisce la prima linea che era stata degli editori, dei monopoli di radio e tv.

La logica per il dominio della comunicazione comporta la battaglia tra la crescente consapevolezza degli individui cioè, tra il loro potenziale di disobbedienza e il controllo sociale.

Tutti ne siamo vittime potenziali: le informazioni ci arrivano in quantità e sovrapposte; le fagocitiamo con velocità crescente. È un fatto emozionale, perciò estremamente volatile e inidoneo al pensiero autonomo. Ma non detto sia casuale. Nella guerra della comunicazione può facilmente essere un progetto strategico, opportunamente messa in campo.

Lo scontro tra sistema e individui, in atto sulla scia del mito di Davide e Golia, ha messo in campo un’arma convenzionalmente proibita dalla cosiddetta democrazia: la censura.

La Voce del Padrone ormai non fa più paura a tanti. Loro sanno e reagiscono. Comitati scientifici e dichiarazioni di fake news nei confronti di tutto ciò che non corrisponde al sistema sono altri due espedienti del momento. La generale reazione impaurita e la relativa obbedienza ottenuta ne dimostrano l’efficacia. Il sistema riesce ancora a tenere il controllo.

Tuttavia forse l’argine si è rotto. Non in un punto solo, ampio ed evidente, dove sarebbe facile portare provvedimenti. Ha ceduto in mille piccoli luoghi di improbabile controllo.

Si rende necessario un altro espediente che abbia la forza di riportare l’attenzione dove serve, che sappia distrarre dalle ragioni della disobbedienza, che distragga dalla crescita di consapevolezza.

In quest’ottica il 2019-nCoV o – secondo la nuova definizione – il Sars-CoV-2, fa al caso loro.

Voluto o casuale è un diversivo che vale 1000 Champions League. Con la presunta pandemia in essere il controllo può essere mantenuto. La paura permette di trasmutare in untore il vicino di casa, l’avventore che entra in negozio mentre noi usciamo. Permette di ubbidire a ordini da mandriani.

L’eventualità di un sistema mondiale in via di riassetto appare oggi assai probabile. In essa vengono meno quelle conquiste sociali e individuali che appena la generazione passata concepiva come permanenti. I ciarlatani, così loro li chiamano, si stanno organizzando, ma il loro nemico non è più il sistema, la sua polizia, la sua burocrazia. Gli Ufficiali dispongono ora di reggimenti di proboviri che mai avevano sognato di comandare. Sono divisioni di vicini di casa.

Sovranità, debito pubblico, diritti del lavoro, scuola, sanità, infrastrutture edili, burocrazia, serietà morale fanno acqua a profusione. Un’evidenza disastrosa e paracriminosa, sufficiente a farci abbandonare la nave, eppure da loro presentata, e da noi vissuta, come un’ineluttabile realtà.

Il nuovo assetto di controllo è in osservazione. Su come andranno le cose pare tutto già scritto. L’ordine del mondo renderà ulteriormente ubbidienti anche i sistemi degli Stati. Che saranno sempre di più inginocchiati ad ubbidire a loro volta secondo i comandi ricevuti. Il virus diversivo ha compiuto il suo scopo. La vera pandemia è nelle menti. Quella delle corsie di terapia intensiva non è niente al confronto. Attendiamo nuovi giri di vite.

Prendere consapevolezza della logica del Sistema resta disponibile a tutti, purché non in preda a diversivi vari. Il libero pensiero ne risentirebbe. La dicotomia tra spirto e coscienza anche.

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venerdì 7 agosto 2020

"Asintomatico", il nuovo peccato originale

 

da Simone Boscali


A dimostrazione ulteriore di come la vicenda covid sia stata imposta a suon di meccanismi tipici delle religioni più che dell'ideologia, abbiamo un parallelo interessante.

Nel cristianesimo accademico è presente il tema del “peccato originale”. Lungi da me dissertare su questo concetto in quanto tale (sono anch'io cristiano), quello che interessa è spiegarne la funzione, ossia convincere il fedele che a dispetto della propria condotta personale cristallina egli è sempre macchiato dalla nascita di un qualcosa che lo rende impuro, una colpa che non ha commesso (“azz, dove l'ho messo il peccato originale? L'avevo qui in tasca...”) e che nonostante questo lo condiziona e che va espiata con l'assoluto sottostare alla dottrina.

In parole povere un meccanismo di mortificazione anche delle persone migliori e di controllo sociale.

Ecco, in quest'epoca di decadenza di ogni forma di spiritualità, il vuoto lasciato dall'idea di peccato originale, cui la società s-cristianizzata non vuole più sottostare, è stata ora sostituita efficacemente da quella dell' “asintomatico”.

In quest'epoca di [presunta] epidemia una persona non è più libera di sentirsi sana, così come sotto le ere oscure della Chiesa non era libera di sentirsi pura da ogni colpa.

Chi si sente bene, ha cura di se stesso e non ha contatti a rischio con alcuno da tempo, è comunque macchiato di una colpa originale del tutto analoga a quella religiosa: è un potenziale asintomatico, un temibile portatore del nuovo peccato, ossia il contagio, senza nemmeno saperlo e per di più occultato.

Praticamente un posseduto dal demonio... e in quanto tale la persona non può circolare liberamente ma deve mortificarsi allo stesso modo di chi nei tempi che furono si batteva continuamente il petto a suon di “mea culpa” non per qualcosa che aveva fatto, ma per qualcosa di cui lo avevano convinto.

E la mortificazione di oggi è l'utilizzo delle assurde mascherine che ci ostiniamo a chiamare “chirurgiche”. Basandosi sulle stesse informazioni dei produttori non ci vuole un gran ragionare per comprenderne la quasi totale inutilità a livello sanitario trattandosi di uno strumento che non protegge per nulla la persona che la indossa e che alla meglio trattiene l'emissione di batteri (ma il coronavirus si chiama così proprio perché non è un batterio...) e i virus unicamente contenuti nelle goccioline di saliva lasciando allegramente sfuggire gli altri...

… a patto ovviamente che la persona li abbia 'sti virus, che sia infetta. Perché a fronte di una immensa maggioranza di persone sane, l'utilizzo di una mascherina che dovrebbe in teoria trattenere in ciascuno le sue schifezze ha senso solo presumendo che quella persona sia infetta, cosa che nella realtà non ha riscontro.

Per questo la mascherina è uno strumento di controllo, di sottomissione, un marchio grazie al quale identificare facilmente grazie all'esposizione del nuovo simbolo religioso il fedele e l'infedele, la pecorella ubbidiente e quella smarrita da recuperare e convertire.

E quel che è peggio è che si tratta di un marchio che di fatto il “fedele”, il nuovo “peccatore” che ha paura di se stesso perché potrebbe essere un malato che non lo dimostra, l'inconsapevole sano che crede di essere un asintomatico, il simbolo se lo colloca di sua volontà.

E così come chi si lascia condizionare dall'idea di peccato originale, anche chi teme di essere sempre e comunque un potenziale untore percorre il triste destino dell'essere umano che si trattiene e limita l'espressione del proprio, divino pontenziale.

mercoledì 20 maggio 2020

Dall’oro al piombo


di Lorenzo Merlo 17/05/20

Tratti di arco degli ultimi 60 anni. Tratti di cosa siamo stati capaci partendo dalle migliori intenzioni.

Tutto è partito in data Berkley University, Beat generation, Movimento hippie, Pop Art, ’68, ’77, Compromesso storico, Brigate Rosse, il qualunquismo.
L’interruzione concretizzata in quei comportamenti, in quelle scelte, tendenze, idee e aspirazioni aveva tutta la ragione storica e dignità di ciò che esiste. Aveva tutta la necessità di fiorire.
Ha avuto molti meriti civili, culturali, ambientali, e politici. Ha sfondato le porte serrate dietro le quali si nascondeva il potere ottuso del bigottismo filogovernativo, del suo indottrinamento tout court.
Come se esistesse una grande legge invisibile chiamata del ciclo dell’avanguardia, quelle buone intenzioni tutte dedicate all’uomo, tutte critiche nei confronti di un sistema imperniato sull’avere, su valori non più rispettabili, si fecero travolgere ed integrare dall’onda di ritorno di quanto avevano creduto d’avere scansato.
Tutto era proseguito poi in data Stragi di Stato, Corruzione, Milano da bere, Edonismo, Opulenza. Il processo avanzava facile: scivolava giù dalla china. Quella che prima, dal lato opposto, avevano scalato i padri. Sulla quale si erano ammazzati di fatica ed erano anche morti per dare ai figli il meglio di loro stessi.
I figli dei fiori, posate le casacche frangiate, avevano indossato camicie a polsini per guidare banche e multinazionali. La normalità dell’uniformità era tornata. Con l’arma potenziata della tv ne avrebbe permesso ora un controllo maggiore. La sola stravaganza era l’individualismo. Cacio sui maccheroni.
Qualcuno, a volte, si chiede con che sentimenti possano i nostri nonni guardare dove il progresso li ha portati, ci ha portati. Anche loro saranno sorpresi di vedere tanto disastro nonostante l’impegno che ci avevano messo.
Il mostro della normalità si è così nutrito e ingrassato con i suoi stessi anomali foruncoli. E li ha digeriti.
Le sue feci ci circondano ora in un orrifico e pestilenziale abbraccio dal quale, incredibile ma vero, verrebbe da dire, appare impossibile liberarsi: ci sono ancora quelli che l’ha detto il telegiornale; che diffondono a pieni polmoni il loro pensiero senza avvederne la corrispondenza con quello unico.
Il riassunto dell’epopea del crollo può stare in quella frase? Certamente no, per i fideisti che vedono complottismo in chi pronuncia qualche pensiero critico. Certamente sì, per chiunque sia in grado di compiere la medesima sintesi. Per chiunque abbia lo spazio per comporre la stessa collana di eventi storici. Per chiunque possa ripercorrere la filologia che dall’oro ci ha portati al piombo.
Sì, il 1964 era stata una data d’avvio di grandi progetti. Ai suoi autori non servivano pianificazioni, ma partecipazione creativa. Da quello spirito comune sarebbero emerse realtà complici, coniugabili e desiderabili. Tutte orientate a saltare al di là del crepaccio storico che avevano provocato.
Non è andata proprio così. Non siamo stati all’altezza di gestire una nuova cultura. Ma siamo stati capaci di distruggere il buono di quella vecchia, al quale non avevamo fatto caso. Valori che avevano retto le identità degli individui dai tempi andati e lontani, erano stati semplicemente dimenticati.
Così ora siamo qui senza comunità cui riferirsi, senza criterio con cui educare i figli. Siamo qui, sul punto di morire con una sola certezza.
Noi nati in quella data, daremo ai nostri figli qualcosa di peggio del Vietnam, del razzismo, della guerra fredda. Gli lasceremo una terra stracciata e rabberciata a pezze di burocrazia, una società allo sbando ma definitivamente controllata, una dote piena di preoccupazioni e vuota di futuro, un’idea di democrazia che è ormai solo il succedaneo formale di una bella promessa, un’opera d’arte senza bellezza, incorniciata dalle feci della globalizzazione.
Avevamo l’oro evangelico dell’ingenuità, l’abbiamo trasformato in satanico piombo dell’avidità.

lunedì 20 aprile 2020

Filosofia della Salute in una forza politica




Perché mi piace il professor Diego Fusaro?
Lo conosco anche personalmente da anni e il motivo per cui apprezzo le sue analisi non sta nella sua conoscenza sul singolo tema, conoscenza che a volte può in realtà essere incompleta (è impossibile forse avere una preparazione perfetta su tutto quando si parla oggi di economia, domani di immigrazione, poi di cultura e infine di medicina e via discorrendo), ma la sua capacità di inquadrare tutto correttamente in una visione di insieme. Cosa che è possibile solo grazie alla sua disciplina, la Filosofia con la maiuscola, l'unica materia in grado di abbracciare la Totalità.

Tempo fa nella lettura del suo libro Minima mercatalia mi impressionò la sua esposizione dell' “idiotismo specialistico”. Oggi sostanzialmente i professionisti delle varie discipline si specializzano oltre ogni misura nel proprio campo arrivando in apparenza a padroneggiarlo alla perfezione, ma pagando in questo un costo altissimo: ognuno diventa del tutto incapace di legare il proprio contributo al quadro generale, alle altre discipline.
Accade così che un certo pensiero, una proposta che può essere perfetta in uno specifico campo possa avere ricadute disastrose in altri ambiti senza per questo disturbare minimamente chi quella proposta l'ha elaborata.
Super specializzati e proprio per questo idioti.

Oggi questa idea dell'idiotismo specialistico mostra i suoi risvolti nella crisi sanitaria legata all'influenza Covid-19 e la parte più drammatica è che buona parte di questo idiotismo non si manifesta nemmeno nel mancato confronto tra discipline distanti, quali la medicina e l'economia, ma all'interno stesso del mondo medico-scientifico a sua volta diviso in mille compartimenti stagni.
Al fine di contenere il contagio e la diffusione della malattia tutti i governi, e quello italiano in modo esasperato, hanno imposto misure d'emergenza quali l'uso di mascherine, guanti, gel, pulizie e disinfestazioni totali, divieto di uscire dalla propria abitazione se non per necessità inevitabili o per lavoro (per quello secondo il capitale si può sempre morire).
Ma proprio qui si manifesta l'idiozia di queste misure. Perché se è vero che possono essere utili a contenere la Covid-19 (fingiamo per un attimo che non ci siano medici e biologi dubbiosi in proposito) è anche vero che quelle stesse precauzioni possono causare danni su altri fronti.
La quasi impossibilità a uscire di casa limita certamente le probabilità di contagio, ma al tempo stesso, specialmente ora che si va incontro alla bella stagione, ci impedisce di sintetizzare con l'esposizione al Sole quella vitamina D di cui siamo tanto carenti e che è invece fondamentale per il sistema immunitario.
L'uso della mascherina a sua volta può proteggerci dal virus o impedire che siamo noi a diffonderlo. Ma è anche vero che protratto per ore, specialmente in condizione di sforzo fisico (ad esempio lavorando) limita la nostra assunzione di ossigeno e aumenta quella di anidride carbonica (ipercapnia), con ripercussioni negative sulla tenuta fisica e sul cervello.
Anche i guanti possono aiutare nel prevenire il passaggio di un virus ma indossarli in modo continuo limita la capacità di azione del nostro microbiota, ossia quell'insieme di microrganismi che ospitiamo anche sulla pelle e che hanno una loro funzione protettiva contro i patogeni.
Non da ultimo non sottovalutiamo il costante clima di paura e allerta che le istituzioni hanno sistematicamente alimentato sin dall'inizio di questa crisi portando una larga parte della popolazione a farsi delatori dei presunti comportamenti pericolosi altrui. Ebbene, la paura e potremmo dire il malumore in generale influenzano negativamente la nostra salute, la risposta immunitaria, predispongono a malattie psicosomatiche secondo alcuni sino allo sviluppo di tumori.

E l'elenco potrebbe proseguire con i divieti a svolgere attività fisica, il distanziamento sociale, le misurazioni della temperatura coi termoscanner, i tracciamenti personali e via dicendo.

Per questo siamo fortemente dubbiosi sulla bontà delle misure d'emergenza sin qui imposte. Perché anche ammettendo la loro efficacia e anche riconoscendo che oggi l'emergenza è la Covid-19 e non altro (ma anche qui potremmo esprimere molti dubbi), queste misure si concentrano sul limitare una singola patologia e perdono di vista l'obiettivo reale della scienza medica e della biologia, ossia la salute umana nel suo complesso.
Il gioco molto probabilmente non vale la candela. La lotta esasperata per evitare sino all'ultimo contagio di una malattia che giorno dopo giorno diventa sempre più facilmente trattabile rischia di produrre, e produrrà, effetti ben più devastanti su altri fronti della salute degli italiani sul lungo periodo.

In pochi se ne accorgeranno e un domani, di fronte all'insorgere di altre patologie, faranno “due più due” facendo risalire quelle future malattie alle misure scellerate di questi giorni.
Specializzati e idioti, persino in senso cronologico, tanto da non saper legare il domani all'oggi.

Noi vogliamo crescere sotto questo punto di vista e lavorare per proporre ai cittadini italiani non misure d'emergenza valide solo nel caso specifico, ma una cultura della salute e della prevenzione totali e universalmente efficaci.