di Lorenzo Merlo
17/05/20
Tratti di arco
degli ultimi 60 anni. Tratti di cosa siamo stati capaci partendo
dalle migliori intenzioni.
Tutto è partito in
data Berkley University, Beat generation, Movimento hippie, Pop Art,
’68, ’77, Compromesso storico, Brigate Rosse, il qualunquismo.
L’interruzione
concretizzata in quei comportamenti, in quelle scelte, tendenze, idee
e aspirazioni aveva tutta la ragione storica e dignità di ciò che
esiste. Aveva tutta la necessità di fiorire.
Ha avuto molti
meriti civili, culturali, ambientali, e politici. Ha sfondato le
porte serrate dietro le quali si nascondeva il potere ottuso del
bigottismo filogovernativo, del suo indottrinamento tout court.
Come se esistesse
una grande legge invisibile chiamata del ciclo dell’avanguardia,
quelle buone intenzioni tutte dedicate all’uomo, tutte critiche
nei confronti di un sistema imperniato sull’avere, su valori non
più rispettabili, si fecero travolgere ed integrare dall’onda di
ritorno di quanto avevano creduto d’avere scansato.
Tutto era proseguito poi in data Stragi di Stato, Corruzione, Milano
da bere, Edonismo, Opulenza. Il processo avanzava facile: scivolava
giù dalla china. Quella che prima, dal lato opposto, avevano scalato
i padri. Sulla quale si erano ammazzati di fatica ed erano anche
morti per dare ai figli il meglio di loro stessi.
I figli dei fiori,
posate le casacche frangiate, avevano indossato camicie a polsini per
guidare banche e multinazionali. La normalità dell’uniformità era
tornata. Con l’arma potenziata della tv ne avrebbe permesso ora un
controllo maggiore. La sola stravaganza era l’individualismo. Cacio
sui maccheroni.
Qualcuno, a volte,
si chiede con che sentimenti possano i nostri nonni guardare dove il
progresso li ha portati, ci ha portati. Anche loro saranno
sorpresi di vedere tanto disastro nonostante l’impegno che ci
avevano messo.
Il mostro della
normalità si è così nutrito e ingrassato con i suoi stessi anomali
foruncoli. E li ha digeriti.
Le sue feci ci
circondano ora in un orrifico e pestilenziale abbraccio dal quale,
incredibile ma vero, verrebbe da dire, appare impossibile liberarsi:
ci sono ancora quelli che l’ha detto il telegiornale; che
diffondono a pieni polmoni il loro pensiero senza avvederne la
corrispondenza con quello unico.
Il riassunto
dell’epopea del crollo può stare in quella frase? Certamente no,
per i fideisti che vedono complottismo in chi pronuncia qualche
pensiero critico. Certamente sì, per chiunque sia in grado di
compiere la medesima sintesi. Per chiunque abbia lo spazio per
comporre la stessa collana di eventi storici. Per chiunque possa
ripercorrere la filologia che dall’oro ci ha portati al piombo.
Sì, il 1964 era
stata una data d’avvio di grandi progetti. Ai suoi autori non
servivano pianificazioni, ma partecipazione creativa. Da quello
spirito comune sarebbero emerse realtà complici, coniugabili e
desiderabili. Tutte orientate a saltare al di là del crepaccio
storico che avevano provocato.
Non è andata
proprio così. Non siamo stati all’altezza di gestire una nuova
cultura. Ma siamo stati capaci di distruggere il buono di quella
vecchia, al quale non avevamo fatto caso. Valori che avevano retto le
identità degli individui dai tempi andati e lontani, erano stati
semplicemente dimenticati.
Così ora siamo qui
senza comunità cui riferirsi, senza criterio con cui educare i
figli. Siamo qui, sul punto di morire con una sola certezza.
Noi nati in quella
data, daremo ai nostri figli qualcosa di peggio del Vietnam, del
razzismo, della guerra fredda. Gli lasceremo una terra stracciata e
rabberciata a pezze di burocrazia, una società allo sbando ma
definitivamente controllata, una dote piena di preoccupazioni e vuota
di futuro, un’idea di democrazia che è ormai solo il succedaneo
formale di una bella promessa, un’opera d’arte senza bellezza,
incorniciata dalle feci della globalizzazione.
Avevamo l’oro
evangelico dell’ingenuità, l’abbiamo trasformato in satanico
piombo dell’avidità.
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