martedì 16 novembre 2021

Inizio o fine di un’epoca?

  di lorenzo merlo ekarrrt – 011121

 

 

L’idea predatorio-capitalistica volge alla fine? Il plinto positivista che la sorregge si sta sgretolando sotto le intemperie di crescenti consapevolezze? La matrice razionalistico-illuminista, resa impura e arrogante dallo scientismo, potrà ora confortare l’umanesimo, potrà cessare di escluderlo dal mondo? La sua intelligente missione potrà ora agevolare l’evoluzione, invece di costringerla e castrarla dentro le misere stanze del materialismo?


Chi ancora non li vede è preso a braccetto da quelli che fanno finta non ci siano e insieme fanno gruppo con quelli che cercano di nasconderli. Eppure, ci sono segni di decadenza economica, istituzionale, infrastrutturale, morale, valoriale. Ci sono sintomi di abbandono. L’idea salvifica del comandante che lascia per ultimo la nave che affonda non contiene più alcun conforto. La ciurma, che lungamente non aveva voluto dubitare del capitano, ora è costretta a ricredersi. Sta accadendo il contrario della purezza, della bellezza, della verità. I solidi piani su cui poggiavamo i piedi sono ora instabili. Avevamo eretto le nostre vite, sulla base di quelli, avevamo traguardato verso il futuro e fatto progetti. Rimarrà in piedi solo una parte di noi e ancora una volta saranno quelli che potranno permettersi di pagare il biglietto per la scialuppa di salvataggio. Gli altri, alla faccia della politica migratoria delle braccia aperte del Pd e dei suoi occulti soci, scivoleranno in mare. Secondo le sfacciate regole d’ingaggio della protodemocrazia, niente più che danno collaterale. Una definizione che nel vocabolario dei tecnocrati non compare, sostituita da costo del grand reset.


Il profitto, il consumo, la produzione, il costo del lavoro avevano esaurito i mercati tradizionali, e con essi, il potere egemonico economico-militare che ne derivava. Sebbene in vantaggio, gli americani vedevano ridursi le lunghezze che avevano sempre avuto sui diretti neoinseguitori: la Russia si era rimessa in piedi, diversi Paesi disponevano di armamenti di cui preoccuparsi, l’avanguardia tecnologica non risiedeva più solo negli Usa e il formicolare confuciano cinese in permanente ed impressionante crescita, da terzo mondo – leggi innocuo – divenne in tempi brevi, forse non previsti dagli algoritmi nostrani, argomento di cui occuparsi. A maggior ragione per la sua politica estera, di stampo estraneo a quella colonialista e neocolonialista di casa nostra. Ben accetta dai residenti, ancora memori del sanguinoso passato patito in cambio di un pugno di riso, e ancora destinatari di falsi aiuti umanitari e di vere guerre. Politica estera cinese che al momento pare in grado di offrire evoluzione economica alle società in cui è penetrata a suon di garanzie strutturali, in un certo progetto di estensione del proprio dominio politico-territoriale-commerciale. Oltre a buona porzione dell’Asia, parte dell’Africa e del Sud America sono braccio attivo al lavoro della mente pensante di Pechino. La protoautarchia paventata da Trump non appare più come la boutade di uno sprovveduto. I tempi erano cambiati, aveva capito che la gestione del vecchio registro avrebbe svenato il paese, che la politica delle guerre/vendita, armi/gestione, ricostruzione/creazione di gruppi terroristici era giunta al termine. Il suo motto, America first, non alludeva al dominio mondiale, ma alla salvaguardia degli americani in patria. Una politica protettiva che sarebbe venuta meno seguendo le esose modalità del vecchio registro.

Tra l’altro, guerre che, tanto per citare l’afghana, l’irachena e la siriana, hanno questi morti, anzi no, questi numeri, meglio, questi effetti collaterali: 400 mila civili, 7000 militari americani. Ma forse si tratta di effetti necessari, più che collaterali. Considerati indispensabili nel progetto di piazzare basi militari via via più a est, via via più utili al controllo del nuovo nemico.

Ma, Trump a parte – pubblicamente (ma non privatamente) ucciso dal suo stesso guasconismo, facile bersaglio dei detentori dei media occidentali e sicuro prodotto al mercato dell’audience dell’uomo comune, quello che si crede arguto, progressista e intelligente – l’intento globalista, Donald-precedente, fu l’idea giusta, al momento giusto. Generato dalla necessità di fare mercato, quale carbon-umano della macchina capitalista, non poteva che avanzare a qualunque costo come un elefante in cristalleria, consapevole della forza di se stesso, nonostante la crisi dei subprime, e ricco dei valori individualisti, che gli avrebbero garantito lunga vita.

Il globalismo, nondimeno indotto e permesso dalla digitalizzazione di denaro, dati e comunicazione, è forse il penultimo tentativo di far fronte al decadimento del sistema fondato dal capitalismo storico. Quello finanziario ha definitivamente spinto fuori dal nascondiglio le politiche ordoliberiste, divenute necessarie per ridurre i costi, le piccole imprese, la popolazione improduttiva, nonché i valori, le tradizioni e i confini locali, quindi le molteplici identità, quali punti d’appoggio di società e stati. Di intere identità, così rese squilibrate. Tutti elementi per ontologia in contrasto con l’esigenza di uniformizzazione dei costumi e delle amministrazioni, di industrializzazione delle menti e dei comportamenti. Esigenze contemporaneamente caldeggiate dal mito tecnologico e opportunamente salvifico del mondo del lavoro robotico e on line.

Quindi il Covid, indipendentemente dalla sua fuga accidentale o strumentale, è stato sfruttato per accelerare il processo di sopravvivenza dello status quo occidentale. Un’accelerazione a sua volta facilitata dal liscio asfalto mentale sulla quale è stata fatta correre a mezzo della semina di terrore di morte. Passo di tipo indispensabile per l’eventuale intento di riduzione della popolazione mondiale, sola sorgente eliminabile per gestire il problema ambientale nelle mani, e negli interessi, dei voraci produttivisti. Ma con la paura, altri fantasmi nanoscopici non sono da sottovalutare. Il capitalismo della sorveglianza non ha troppe linee programmatiche per continuare a riconoscersi nella primigenia identità.

Il recente G20 drago-italico non è che il gran pavese sulla grande torta dell’egemonia mondiale. Come il Pd si interessa dei diritti civili e butta a mare quelli sociali, così i grandi del mondo si impossessano del problema ambientale pur di buggerare ancora qualcuno. E ci riusciranno. La generazione che ora comprende come stanno le cose, che ha visto il messaggio diffuso dal gobbo teatrale, a breve lascerà la scena a novelli umani, ignari del recente passato, vergini sacrificali sull’altare di bromurici valori adatti a controllarli, con reciproca soddisfazione.

Dentro tutto ciò, la Nato: sempre più vuoto spauracchio, sempre meno temuto dal nemico, sempre più politico per l’Europa, sempre più vischioso tessuto dal quale non ci si riesce a liberare. Non ci si vuole liberare. Non si può liberarsi. Quante scialuppe di salvataggio avranno garantito all’Italia progressista-liberista per saldare il conto delle sue basi militari sul nostro territorio? E quante per avere appoggio non solo logistico ma anche militare? Forse il D’Alema – e non solo lui, naturalmente – può darci risposta di quanto denaro ognuno di noi spende per la Nato. Siamo cuciti a filo doppio per mantenerci culo (noi) e camicia (lei) con una struttura che ha perduto il senso originale, che si arrabatta per sostituirlo con uno adeguato ad un’egemonia mondiale ormai traballante.


L’opulenza distribuita a piene mani a mezzo di una cultura consumistica ha mercificato tutto, compresi sentimenti e immaginario. I padroni della comunicazione non hanno faticato ad imporre, con strategia omeopatica, il riempimento di case e pensieri. Contemporaneamente, hanno dimostrato quanto il coraggio umano possa essere ridotto a pusillanimità. Pure lei sul banco del mercato, venduta con l’etichetta della sicurezza e del buon senso. La resa di noi tutti è stata così ampia che si può definire totale.

Chi resiste non ha neanche più da doversela vedere con il cosiddetto potere. Prima di questo viene la moltitudine dei suoi simili. La marea di forza che questi esprimono corrisponde ad un’unità di grandezza nuova, non più analogica. Non si può immaginare di arrestarla, scomporla o abbatterla secondo l’emblematico esempio di Gavrilo Princip, di Thích Qung Ðc, del Rivoltoso sconosciuto. Non c’è più l’amalgama per la rivoluzione e non c’è nemmeno più il palazzo da abbattere. Il potere risiede in stanze di case private, di stanze d’albergo, di sale riunioni. Grani di sabbia sparpagliati nel deserto del mondo.

La moltitudine ha un segno matematico insuperabile dai pochi che vorrebbero farsi ascoltare. Un dibattito civile non è e non è stato possibile, parlamentari bulgari hanno evitato anche quello politico. Nessuno dei resistenti ha potuto essere riconosciuto di dignità, né ha potuto porre domande; in compenso è stato soverchiato di affermazioni che si sono rivelate contraddizioni e menzogne, prese in giro, strategie di dominio. La stagione del Covid è emblematica del tentativo di controllo sociale a mezzo modalità protomonarchiche, possibili solo e soltanto con l’accondiscendenza di tutti. Lo zoccolo duro, fondamenta delle diffuse stanze dei pochi, non è protetto da fossi con caimani, concertine laceranti e garitte con feritoie. Placidamente alloggia nelle menti molli dei benpensanti, sostenuto da pensieri perbenisti, difeso da schiere votanti.

domenica 31 ottobre 2021

Corri coi cavalli


I saperi uccidono la conoscenza.



di lorenzo merlo ekarrrt – 041021


Come per il pesce

Forse il pettine sta stringendo nodi da tempo attesi da qualcuno, inattesi da molti. Si mostrano espressioni che nulla hanno a che vedere con la matrice culturale che ci avviluppa e gestisce le sinapsi. Ne sono un’opposizione, visto che ne implicano una critica. Espressioni eterodosse nei confronti di ciò che abbiamo appreso, studiato, voluto, alimentato, e trasmesso. Nei confronti della pellicolare superficie dell’umana potenza creativa.

Non si tratta di un cambio di registro classificabile sotto la formula “novità”. Uno strillo inflazionato, ordinariamente impiegato dalla società dello spettacolo (pubblicità, informazione, cultura, commercio), obbligata a fare uso a dosi crescenti pur di tirare avanti la consumistica messinscena.

Riguarda semmai il cosiddetto cambio di paradigma, nel cui cuore si trova una critica all’assolutismo del materialismo. Una realtà tanto strutturale delle nostre costituzioni da rendersi normalmente invisibile. Se, non ha senso al pesce cosa ne pensa dell’acqua, ne ha a chi ha preso coscienza che quell’acqua, ci struttura, ci compone, ci limita. Resterà il docile bue sotto il giogo una volta presa coscienza della propria potenza? Una volta presa coscienza di sé?

Ma la critica al materialismo non è per niente una novità. Quella finora espressa dalla narrazione condivisa è stata perlopiù intellettual-speculativa. Limitata al campo del sapere cognitivo: niente d’incarnato, di estetico, di radicale. Di carnale, in senso costitutivo. In quanto si esprime nei sentimenti, nel fare, nel pensare, nel concepire.

Insieme al materialismo, fanno corpo il razionalismo, il meccanicismo e lo scientismo. Territori atrocemente disumani in cui gli individui sono facili prede di superstizioni, incantesimi ed effimeri valori. Destinati così alla perdizione. Il culto dell’avere e quello della tecnologia hanno eletto ad universale il progresso materiale. Abbindolate come i primitivi dagli specchietti, ignare di sé, le persone si sono buttate a testa bassa e gomiti alti nella corsa all’oro. Il successo plebiscitario l’ha resa tanto efficace traino cultural-politico, quanto solida matrice di tutta l’intelligenza messa in campo per il podio. Ma la dedizione richiesta da quel processo ha svuotato di energie vitali tanto la cultura quanto la politica. Lasciandoci ruotare come blasfemi sufi in una spirale, senza apparente via d’uscita. Proprio come per il pesce.

Nessuna novità

Se le ragioni storiche del dominio del materialismo sono a disposizione di qualunque onestà intellettuale e se tutti possono osservare che le epoche storiche, di qualunque stirpe si voglia, scaturiscono per opposto, quei segni nuovi, inizialmente citati, in via di moltiplicazione, fanno auspicare e immaginare l’avvicendamento alla genia del materialismo. Non si tratta di ucciderlo, solo di declassificarlo a relativo e strumentale. Relativo come opposto ad assoluto e strumentale in quanto, tanto funzionale alla vita amministrativa, quanto disastroso in quella relazionale.

L’urbanistica storica del materialismo e le sue architetture pare stiano scricchiolando sotto il peso di crescenti consapevolezze che ne riconoscono il limite operativo e il vincolo creativo. Prese di coscienza sostanziali che riguardano l’io e il sé, il prossimo e la società, l’educazione e il benessere profondo, il lavoro come campo dei nostri talenti, l’ambiente non più come oggetto da preservare ma come habitat relazionale di noi stessi, la terra come organismo, la vita come dono. Cose vecchie rimaste impopolari. O massacrate dai canoni delle religioni. Ne aveva parlato la caverna di Platone, più anticamente i Veda, i Toltechi, Zoroastro e, più recentemente, Cristo. Naturalmente anche molti altri, ma tutti zittiti dalla storia e dalla vulgata, evidentemente inette alla cruna dell’ago. Visioni rimaste a narrazione d’appendice relegate nelle pieghe delle vicende umane. Mortificate ma mai del tutto sopite. Il respiro esoterico le proteggeva rendendole occulte ai più. Questi equivocavano e fraintendevano. E non perdevano occasione di deridere e torturare chi non abiurava simili fandonie. Miracoli, piombo che diventa oro, resurrezione, autoguarigione, chiaroveggenza, via! Tutto ammassato nella fossa comune del razionalismo, del materialismo, della verità ortodossa. Modalità utile per governare più che per far crescere popoli e società.

Arcobaleno. Ma di cartone

Il Potere temporale dei papi fu atroce campione in carica per molti anni. L’Illuminismo permise di radunare idee che condussero le politiche dagli Stati personali agli Stati nazione. Poi, la sua vulgata che, da allora, ha inseminato di sé ogni capillare della cultura. Fino al punto che sii razionale è il monito che tutti pronunciano senza timore di sbagliare. Cultura che, così inebriata dalla novità che la liberava dai demoni delle tradizioni sapienziali, non ha esitato a gettar via il sudicio passato, senza accorgersi del bambino di conoscenza che vi era in mezzo. Quindi, l’apoteosi della Scienza. Così inebriata di sé da perdere di vista immediatamente l’autoreferenzialità da cui era nata. La Rivoluzione industriale sorse di lì a poco, nutrita da nient’altro che da materia, prima o seconda non cambia. Con quei prodromi appena detti, si trovò al galoppo sui cavalli alati della verità finalmente trovata. Prese possesso del concetto di progresso. Una vicenda ancora in essere che ebbe come irripetibile caricatura materialistica il Tina (There is no alternative) della ferrea Lady.

Lo scientismo, ovvero la scienza come sola sede della verità, come sola autentica indagine del reale che meriti rispetto e guidi degnamente il sapere degli uomini, nonostante l’avversione degli scienziati, si attestò sul gradino più alto della verità. Quello al quale tutti gli uomini, e anche i dentifrici – che sono infatti scientificamente testati – guardavano con ammirazione, finalmente sereni d’aver trovato ciò che da sempre l’uomo andava cercando. Per un buon tempo, perfino gli umanisti provarono cocciutamente a trovare la quadratura tra umanità e modello scientifico. La Tecnologia, figlia della Scienza ha avuto vita facile. Nella sua discesa verso noi si è capillarizzata senza incontrare ostacolo alcuno e ha monopolizzato le menti. Tutti giocano con il nuovo dispositivo che non gli fa più sbagliare strada, che dice che ora é a Ulaanbaatar, che gli calcola interessi degli investimenti e permette di fare on line ciò che prima richiedeva le gambe. “E che risparmio di tempo, ragazzi”. Del suo lato B, della dipendenza che implica e relativa assuefazione e patologie, naturalmente nessun accenno da parte dei nostri amati commercianti, della nostra amata informazione.


Vita virtuale

Se prima gli attrezzi analogici venivano usati e posati a fine servizio, ora quelli digitali, surrogati di affetto e assuefatori di attenzione, bruciano l’energia creativa e permangono in noi, scimmia sulla schiena di ogni dipendenza. La permanente attesa di novità come sola soddisfazione entro un orizzonte vuoto di progetti autentici, e la compulsiva masturbazione digito-tattile sono di pari tossico peso solo allo stretto tempo con il quale con reiterata famelicità si consuma tanto la news pubblica o privata, quanto l’algida e ossessiva palpazione di uno smart-qualcosa.

Il ciclo desiderio-soddisfazione-desiderio ha subito un’accelerazione. In tempo analogico era già spiritualmente esiziale. Nonostante ciò celebrato dalle politiche economiche in quanto motore del commercio, quindi del Pil e del suo benessere. Ora, nel tunnel digitale, alla concezione della vita e di sé più ho meglio è si affacciano psico-patologie legate alla stabilità individuale, al senso di sé. L’equilibrio emozionale necessario a costruire persone compiute, che sappiano sentire se stesse per trovare la strada, per educare se stesse dai propri errori, è venuto meno. È venuto liquido. L’effimero e l’apparenza, nonché i modelli unici che vi sono veicolati, sono aspetti che accompagnano l’infanzia e la crescita delle persone. Sono diavoli che intralciano il riconoscimento della propria dimensione, direzione, identità. Sono voluttuose sirene che favoriscono il transito di valori e di pensieri funzionali al controllo esogeno delle nostre vite e al consumo di merci ad obsolescenza programmata. Entrambi destini scelti per noi prodotti dai detentori della comunicazione. Che umanesimo può venire fuori da questa matrice dai tratti industriali a controllo digitale? Che può restare della cultura analogica, la cui fondamentale caratteristica costitutiva era di essere sempre a misura d’uomo?


Il punto

E questo è il punto. Si va nella direzione opposta a ciò che serve agli uomini per escogitare una modalità di società che sia progressivamente libera dai conflitti. Da ciò che gli serve per evolvere. Un’evoluzione che nulla ha a che vedere con il cosiddetto progresso. Essa riguarda il riconoscimento di sé, ovvero di quella natura universale che impedisce di sviluppare politiche ed idee di sopraffazione, di alienazione, di infelicità, malesseri e malattie. Se prima l’identità aveva la cultura nazionale come solido plinto d’appoggio, ora siede sul ribollire di attrazioni che non riconosce ma ritiene necessario inseguire. La rincorsa è permanente, il nichilismo la affianca. Finirà sfiancata e facile preda disposta a tutto per una sopravvivenza vuota, nella quale i poteri e i talenti latenti di ognuno non avranno più le doti per affacciarsi agli uomini che hanno accettato di sottostare a condizioni di vita schiavistiche in cambio di un benefit. Che hanno lasciato l’infinito che siamo in cambio di una sua edulcorata scheggia.


Dove corrono i cavalli

Inconsapevoli della propria autoreferenzialità, ciò che scienza e materialismo riescono a misurare con il loro strumentini e ragionamentini diviene realtà, il resto dell’infinito semplicemente non esiste. Ma è proprio oltre la loro reificazione che si trova l’uomo. Le coordinate cartesiane possono rappresentarne le forme ma non hanno competenze per tracciarne lo spirito. Scienza e materialismo non sanno che tutto si genera per amore e che l’interesse personale ne inficia il valore, la bellezza, la qualità. E così, spogliarsi degli orpelli culturali entro i quali nascondiamo noi stessi, ai quali ci sentiamo sottomessi, fino all’incapacità e all’impotenza di mostrarci per quello che siamo, ci è impedito. Avvolti dalle fascinose sirene dei vizi capitali non sappiamo riconoscere le energie che emettiamo, né quelle emesse dal prossimo. Privi della basilare sensibilità della vibrazione della vita sopperiamo con la brutalità in tutte le sue forme e modi.

La realtà esaurita nella sua materialità e forma è come un film osservato da un bimbo preoccupato per gli indiani che muoiono. Identificarsi in esso è ciò che ci vincola ad una condizione del tutto estranea alle potenzialità di serenità e benessere che abbiamo. È necessario prendere le distanze dalla realtà con la quale ci siamo identificati, è necessario riconoscere le occulte identicità tra noi piuttosto che le evidenti differenze. Necessario riconoscere che siamo dei Truman Burbank. Che i saperi cognitivi uccidono la conoscenza. Che questa è già in noi. Perché se non lo faremo seguiteremo, a testa alta e petto in fuori per mostrare la collezione di mostrine, ad avanzare nella direzione opposta a dove corrono i cavalli.

giovedì 30 settembre 2021

L’onda lunga

 di lorenzo merlo ekarrrt – 200921



Nel gioco “unisci i puntini” compare una figura che mai si vede finché si guardano i singoli passaggi.

Si può credere che le autorevoli voci scientifiche, filosofiche e della società civile contrarie al vaccino come sola risoluzione del problema del Covid-19, sostenitrici delle cure domestiche, ipotizzanti di una regia extra sanitaria, intenta alla rivisitazione socio-economica del mondo e alla riduzione della popolazione, non siano giunte al tavolo del Governo? Dei Governi?

Tendenzialmente no.

C’è allora da presumere che i Governi che promuovono l’emergenza ad oltranza e l’attuato stato socio-sanitario, siano marionette dirette a distanza da fili digitali dall’ignoto IP.

C’è da domandarsi cosa sia stato promesso ai passacarte della Stampa per disporre della loro quasi bulgara sottomissione.

È un’elementare premessa per arrivare a riconoscere che il problema inquinamento-ambiente-economia-demografia non poteva essere altrimenti risolto se non con strategia scacchistica.

Infatti quale società avrebbe mai potuto mettere in atto le riforme utili per ridurre inquinamento e popolazione? Quale società avrebbe mai accettato di venire sterilizzata o consensualmente decimata? Ci voleva un’idea. Per il bene del pianeta e di tutti i rimasti. E a qualcuno è venuta. Sono gli stessi che hanno trafitto la Terra a morte e lo spirito degli uomini si sono presi la responsabilità di porre rimedio al danno compiuto. Naturalmente in stile con la loro biografia predatoria. In ordine con l’intento di mantenere l’egemonia economica del mondo, quantomeno di non farsi fagocitare dalla Cina e suoi sodali.

Andare alla radice del problema non poteva non coinvolgere i quasi otto miliardi di persone che popolano la terra, oggi, vera fonte del problema ambientale. Forse più di quanto lo sia il capitalismo con la sua annessa produzione industriale e la quantità di emissioni urbane, private, sociali. Con cibo, risorse naturali e rifiuti si gioca alle tre carte, dove neanche il mazziere vince più. E lo sa.

Il progetto smaltitorio della moltitudine mondiale passa forse attraverso le nanotecnologie e le vaccinazioni. Da tempo la ricerca scientifica maneggiava i virus. Da tempo aveva fatto parlare chi era al corrente dei fatti in quanto fautore della ricerca stessa. Si trovano video datati di diversi anni addietro che riferiscono di futuri virus e pandemie. Si trovano affermazioni che sostengono che a questa pandemia ne seguiranno altre, più micidiali. Erano i prodromi dell’intento decimante, del quale stiamo assistendo alla fase Uno, nel quale siamo immersi. Fase necessaria per avviluppare di paura la maggioranza degli otto miliardi che siamo. In preda al rischio di morte, l’esitazione nei confronti del vaccino sarebbe stata minima, nonostante il siero fosse in ammessa fase sperimentale dalle medesime Case farmaceutiche, nonostante le autorevoli voci scientifiche contrarie e mai governativamente ascoltate. La maggioranza avrebbe ascoltato il coro globalista di Governi e Media d’informazione. E avrebbe dato dell’irresponsabile a chiunque avesse invece esitato, a chiunque si fosse posto qualche interrogativo in merito.

Tanta innocente adesione è un fatto apparentemente sopra la capacità di qualunque imbonitore, venditore o leader, ma del tutto comprensibile sapendo della forza economica dei pochi individui che detengono i Media sociali e d’informazione. Ulteriormente di facile evidenza se si considera che quella forza economica è pari a quella di Stati. Costituire lobby d’interesse, disporre di eserciti – cyber o d’altro tipo non cambia –, formare reggimenti di individui uniformati e sparpagliare intelligence capaci di comporre elenchi di fonti di fake news solo perché esprimevano domande e posizioni differenti, è stata cosa che è andata da sé. Del resto, per Big Data e soci, non si tratta di democrazie parlamentari. Nessuna burocrazia le infesta, nessuna politica le inceppa. E come potrebbe: svuotata di tutto tranne che di talk show e progetti ad immediata scadenza, irrigidita dal politically correct, attenta a se stesse, miope sui problemi degli ultimi, e non solo.

Se, come già abbiamo visto, assisteremo ad attriti o peggio, a scontri sociali, non sarà che una strumentalizzazione, un diversivo per distrarre la maggioranza dai puntini che collegati permettono di disegnare l’onda lunga sulla quale plana il Progetto. La modalità della guerra tra poveri, del divide et impera è imperitura e fiorente tra logiche egoiche, le sole che siamo attualmente in grado di generare.

Se nei prossimi mesi assisteremo ad un tasso cospicuo di mortalità, oltre all’onda lunga si potrà anche vedere la chiusura del cerchio. Del primo cerchio. La paura sterilizzerà la creatività necessaria a mantenersi lucidi, per seguitare a riconoscere la regia di questi tempi tristi. (Ma anche idonei alla diffusione di consapevolezze evolutive).

Il Grande reset globalistico-socio-economico; la mitizzazione della tecnologia; l’apoteosi della digitalizzazione; la celebrazione del progresso nella corsa all’on line; la consacrazione della politica dell’accoglienza senza guardare al terreno identitario che essa decompone e manda al macero; non potevano essere raggiunti in tempi brevi. Nessuna politica sarebbe stata più veloce del virus, della malattia, della paura, della morte.

Intanto, marcia a pieno regime la formazione coatta della nuova intelligenza dei millenials. Vuota della cultura e della tradizione che hanno costituito le identità della precedente storia umana ma piena di agilità individualistica. Quanto mai idonea a creare élite e paria, a riorganizzare la piramide sociale sotto l’egida della flessibilità, del lavoro da remoto, dell’automazione, della precarietà, del reddito di cittadinanza. Del distanziamento sociale come ulteriore separazione e distinzione dall’altro. E della moltiplicata dipendenza dalla tecnologia. Con la quale è facile l’illazione su quanto sarà facile dominare società, individui, sentimenti. Su quanto saremo ricattabili. La dipendenza è il regno opposto a quello della libertà.

Siamo forse perciò all’inizio di uno storico epilogo. La cui parabola ha tempi imprecisati anche per chi sta in regia. E noi, diversamente da loro, non abbiamo che cenci e malridotte zattere. Difficile superare l’onda tanto anomala quanto prevedibile che da qualche parte si sta formando. Salvo cessare di dedicarsi ai diversivi ai quali, come sardine per i delfini nell’acquario, di solito dedichiamo passione e rabbia, energia e tempo.

venerdì 23 aprile 2021

La creazione


 di lorenzo merlo ekarrrt – 110421

Diversamente dal conosciuto – direbbe Krishnamurti – tutto il sapere che vantiamo non è che idoneo a tenerci lontani dalla conoscenza.

Presunzione antropocentrica

Per Kurt Gödel, logico-matematico del 1900, anche partendo da assiomi matematici certi non necessariamente le evoluzioni che ne seguiranno saranno certamente vere o certamente false. Nel rispetto delle medesime inafferrabili ragioni del principio di incompletezza – come lo studioso aveva chiamato quella parte dei suoi studi che metteva in crisi la presunta veridicità e inattaccabilità del linguaggio matematico – forse è possibile esaminare altre osservazioni che riguardano però il mondo delle relazioni. Se queste dovessero rivelarsi attendibili, molto stupore nei confronti delle faccende umane verrebbe meno.

Uno stupore la cui origine è da attribuire anche all’atteggiamento proiettivo (Freud) di noi stessi verso il cosiddetto fuori da noi. La proiezione di noi sul mondo implica la creazione di un mondo a nostra immagine e somiglianza. Una modalità di esserci nel mondo (Heidegger), che ci impone l’identificazione con i nostri sentimenti e pensieri e che perciò impedirebbe l’identificazione del proprio sé (Jung). Ovvero, quella condizione necessaria per tendere all’ armonia, all’equilibrio e all’invulnerabilità. In pratica, ci stupisce tutto ciò di non previsto con cui entriamo in relazione, così come tutto ciò che non è per noi accettabile tende a generare il nostro stupore, giudizio di valori e sentimenti di repulsione.

In ambienti relazionali chiusi, tendenzialmente puri e composti da piccoli numeri, l’imprevisto tende a non generarsi. In tal caso, diversamente, la reazione del gruppo/cominità sarebbe terapeuticamente unanime: il corpo estraneo sarebbe estromesso e l’equilibrio, in breve, recuperato. Si potrebbe dire che si tratti di un previsto imprevisto.

Quando la purezza originaria viene meno – cosa implicata con il crescendo dei componenti e delle relazioni – tendono a generarsi reti di realtà non previste dagli assiomi originari. In fisica quantica questo tipo di accadimenti ha il nome di entanglement, un termine introdotto da Erwin Schrödinger.

È necessario osservare che gli “assiomi originari” non solo sono caricati dal principio psicologico dell’io, detto di proiezione. Essi sono ulteriormente gravati dal peso del razionalismo e del meccanicismo. Due prospettive in una, in quanto rispettano e agiscono con medesima modalità logica: elaborare un ordine del mondo che contenga l’oggettività, che rappresenti il sempiterno. Una lettura degli assiomi originali che induce un tempo uguale per tutti, una realtà definitivamente corrispondente alla descrizione che ne fa la fisica (meccanica classica), un uomo assimilato alla macchina, un’indagine analitica del mondo, ovvero un mondo scomponibile dove la verità organica ed olistica neppure è presa in considerazione. In una parola, gli assiomi d’origine della concezione razionalistica del mondo prevedono una reale pressoché bidimensionale, pressoché paragonabile ad un’immagine fotografica, composta dagli elementi contemplati dalla nostra proiezione.


Sinapsi irriverenti

Tornando alle relazioni moltiplicate dagli scambi di comunicazione, a maggior ragione se in epoca digitale, si può sostenere provochino l’accensione di sinapsi altrimenti dormienti. E che stiano alla base di creazioni di idee e pensieri, posizioni e consapevolezze, politiche e sentimenti, ruoli e contraddizioni altrimenti inibite, prive dell’habitat utile al loro avvento. Dinamiche occultamente euristico-serendipidiche perciò, tendenzialmente impreviste e imprevedibili e che non riguardano soltanto le relazioni tra individui e/o entità organizzate, ma anche tra noi e la nostra concezione di noi stessi.

Allora, come i puri che entrano in politica e a un certo punto tradiscono le loro originarie posizioni – tradiscono per noi, che guardando le pagliuzze imbracciamo il vessillo della coerenza e la spada della moralità, ma non per loro stessi – anche noi nel tempo mutiamo di ruolo e convinzione. In questi due casi, e in tutti i suoi consimili, assistiamo alla generazione di novità che, a ben guardare, sono soltanto mutamenti, trasferimenti, cambiamenti che il modello razionalistico e moralistico, per mantenere se stesso, non contempla e non accetta. Mutamenti che, quando non ne sappiamo riconoscere la biografia, non esitiamo a chiamare novità. Come a dire che ciò che ci hanno detto Gödel e la fisica quantica non solo va oltre una concezione del mondo sempliciotta, ma allude alla caducità del pensiero bidimensionale, di cui – penso si possa affermarlo – ne trova il limite e il conseguente terreno d’applicazione relativo alla sola vita amministrativa. Una critica che ha in sé il seme per avviare una cultura alternativa a quella in essere, idonea per generare le consapevolezze utili al miglioramento delle relazioni interpersonali e intrapersonali, per recuperare o raggiungere la condizione di armonia.

Non solo. Dalle dinamiche dei grandi numeri possiamo osservare che tutti i perché ci sono già e così tutta la conoscenza, e hanno a che fare con l’infinito. Esse ci dicono che la vanità ci impedirà di esserlo, ci costringerà a seguire tracciati noti, ci costringerà alla ripetizione e all’alienazione, ci impedirà la realizzazione di noi stessi, ovvero, di vivere una vita piena, creativa, armonica. Se la vita durasse un istante, chi lo vorrebbe passare in pena? E chi in armonia?


Siamo creatori

Ritornato a terra, l’astronauta Buzz Aldrin ha detto che guardando a noi da lontano, pensava alla Terra come a un’oasi di pace, che se fosse venuto da altri mondi si sarebbe sorpreso di tanto dolore che la abita. E noi, immaginando altri pianeti abitati, li immaginiamo abitati da entità in conflitto? O possiamo sospettare altre modalità di vita? Forse sono sufficienti questi interrogativi per cogliere la concreta opportunità, già in noi, per vederci tutti terminali di una sola vita, per vedere che la storia sarebbe privata dell’energia conflittuale che la alimenta appena prendiamo le distanze dai nostri sentimenti, dall’importanza personale, appena cioè cessiamo di credere di avere da difendere idee e cose, in nome di cui sopraffare o farci sopraffare.

Non lo sapevamo, ma in fondo avevamo a che fare con assiomi, supposizioni, superstizioni, tutti espedienti autoreferenziali, tutti investiti di sapere e colmi d’intelligenza, che per la solita egoica vanità avevamo scambiato per verità.

martedì 20 aprile 2021

“Omo-revisionismo” - Dall'Iliade al Battaglione Sacro

da Simone Boscali 

Il dl Zan sull'omotransfobia altro non è che un ulteriore esempio di come il sistema in cui viviamo, per meglio controllare le persone, strapparle alle loro appartenenze naturali e poi ricollocarle in altre identità di comodo, si avvalga della parodia.

Parodia in questo caso dell'omosessualità che sempre più viene oggi imposta come nuovo canone dominante.

La storia dei regimi ci insegna che un paradigma politico non può cambiare facilmente senza un precedente cambiamento culturale e affinché questo accada, secondo gli insegnamenti di George Orwell, è spesso necessaria una revisione del passato per poter rendere più accettabile e naturale il presente1.

In questo senso, proprio nell'epoca del dl Zan in Italia e di un più generale avanzamento dell'omosessualismo in tutto l'occidente, stiamo assistendo a un vero e proprio omo-revisionismo della storia passata, a partire da quella classica, ossia a una rivalutazione esagerata e strumentalizzata di quello che poteva essere l'omoerotismo nel lontano passato al fine di imporlo come paradigma dominante oggi.

Ad alcuni sembrerà curioso, ma ho elaborato questa riflessione semplicemente rivedendo, pochi giorni fa, il discreto film Troy, di Wolfgang Petersen, e ho pensato che se questa pellicola venisse girata oggi, con tutte le omo-speculazioni che si sono sprecate sull'Iliade, il regista sarebbe stato costretto a proporci un Achille in versione hard-gay perdutamente innamorato del suo Patroclo checca isterica e la povera Briseide, la vera causa dell'ira di Achille secondo la tradizione omerica, ridotta al ruolo di mortificata ancella col compito di preparare eleganti chitoni color fucsia e festini per i due amanti e i loro concubini.

Sia chiaro. Che nell'antichità, specialmente greca, l'omosessualità fosse di casa ancor più che oggi lo sappiamo tutti, tanto che non solo in Grecia ma anche nella Roma antica non esistevano nel vero senso della parola formule o vocaboli che indicassero questa particolare preferenza sessuale.

E non è certo questo che vogliamo mettere in discussione perché, di riflesso, non sono i gusti sessuali delle persone a suscitare il nostro interesse finché si parla di adulti consenzienti.

Quello che ci preme ricordare è che l'omosessualità greca non era assolutamente paragonabile al modo in cui i rapporti tra persone dello stesso sesso sono vissuti, e culturalmente imposti, oggi.

Nell'antica Grecia era ben chiara innanzitutto l'idea di famiglia come nucleo fondante la polis, un nucleo costituito da un uomo e una donna che nella stessa idea di Platone, il cui Simposio è citato spessissimo a sproposito come prova di un omosessualismo imperante, altro non è che un tentativo dei due opposti complementari di ricomporre l'Unità sacra originaria.

I fautori della parità di genere dovrebbero invece ricordare che la loro inesistente Grecia antica arcobaleno era fortemente misogina e che i rapporti omosessuali, certamente presenti anche tra donne, erano soprattutto “roba da maschi”.

Questo perché la relazione il più delle volte coinvolgeva un uomo più maturo, magari un precettore o un insegnante di scherma o di lotta, e un giovane. In questa situazione il giovane non solo veniva istruito nelle arti fisiche, marziali o culturali specifiche del maestro ma era anche iniziato in qualche modo alla vita sessuale e tutto questo con una disparità di anni e un'età così precoce nel maschio più giovane da rasentare la pedofilia.

Piaccia o no, questa era l'omosessualità greca. Essa non era una forma sessuale esclusiva perché tanto l'uomo più grande era normalmente anche sposato e padre di famiglia, tanto il più giovane, avvicinandosi alla maturità, lasciava questa dimensione per trovarsi una compagna.

Un rapporto amoroso “alla pari”, per così dire, tra due uomini adulti, era invece oggetto di disapprovazione da parte della società, proprio come avvenuto, guarda caso, per un vero condottiero gay ante litteram quale Alessandro il Macedone, spietato killer, imperialista senza scrupoli, megalomane e alcolizzato, ma anche davvero più interessato alla sua guardia del corpo Efestione o al servo Bagoa, che alla bellissima moglie e principessa Rossane.

Eppure noi abbiamo almeno due esempi di revisionismo storico che vorrebbero farci passare un'immagine ben diversa.

Abbiamo già accennato alla presunta relazione amorosa tra Achille e Patroclo nell'Iliade. Oggi questo loro rapporto viene dato per scontato, sulla base malferma di quella che poteva essere la cultura greca antica, ma la verità è che in tutto il poema non abbiamo nessuno, ripeto, nessun elemento che indichi tra i due nulla più che un rapporto di amicizia, cameratismo guerriero e lealtà di sangue tra cugini2.

Se poi vogliamo concedere al lettore un legittimo margine di immaginazione per riempire gli spazi del non-scritto con ciò che più gli aggrada, questo è più che giusto purché si resti nel solco della fantasia e non del revisionismo culturale che vuole di Achille e Patroclo una coppia ufficiale di fidanzati, cosa che avrebbe fatto cadere sì le mura di Troia, ma dalle risate.

Anche più grave, in quanto imperniata su un fatto storico e non su un poema letterario, è la revisione sui trecento, terribili guerrieri del Battaglione Sacro della città di Tebe. Questo corpo d'élite, creato dai condottieri Gorgida ed Epaminonda all'inizio del IV sec. a.C. per spezzare la superiorità delle fanterie di Sparta, era appunto composto da 300 guerrieri sceltissimi per doti naturali, tempra fisica ed etica, ed inquadrato in un battaglione di soldati di mestiere a servizio della polis di Tebe.

Possiamo immaginare che nelle caserme tebane, così come in quelle di Sparta e di tutta la Grecia classica, visti la maggior liberalità di costumi, i rapporti omoerotici tra allievo e precettore e, non da ultima, la lontananza forzata dalle donne, i rapporti occasionali tra commilitoni fossero effettivamente molto comuni e accettati.

Quello che non è accettabile è la forzatura che vuole scavalcare questa lettura e vedere nelle forze scelte tebane quello che nella cultura arcobaleno è diventato addirittura il Battaglione degli Amanti, composto da 150 coppie nel vero senso della parola, sulla base di interpretazioni strumentali di alcuni passi di documenti storici.

Una revisione senza senso, perché ogni buon condottiero sa tra l'altro quanto sarebbe deleteria una situazione simile, in un contesto a quel punto chiuso, col rischio di gelosie, invidie, tradimenti che avrebbero minato la solidità di una forza militare su cui invece Tebe contava per prevalere sugli opliti spartani.

Quindi per concludere, tornando proprio all'attacco di questo articolo, il cerchio si chiude.

Oggi è innegabilmente in corso un'opera di svilimento non solo della famiglia, ma dello stesso amore tra uomo e donna. Non che questo intento sia dichiarato, evidentemente, ma è la direzione verso cui manovre culturali e provvedimenti legislativi come appunto il dl Zan ci stanno portando.

E per rendere più accettabile un presente altrimenti privo di radici hanno bisogno di crearne di false, strumentali, mettendo le mani grazie alla forza dei propri media e del denaro sul nostro caro passato e la nostra mitologia.



1"Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato" (G. Orwell, “1984”)

martedì 13 aprile 2021

Covid ieri e oggi: ritratto di una panconfusione

 

da Simone Boscali

Quella che si gioca sull'affaire covid 19, patologia causata dal virus sars-cov-2, non è solo una partita di tipo sanitario e nemmeno, nonostante l'estrema importanza di questo aspetto, solo una lotta per la libertà.

Essa è infatti un terreno di osservazione utilissimo della capacità di autoinganno che l'opinione pubblica ha dimostrato di avere su se stessa, amplificando un'emergenza e mantenendola in piedi non perché abbia creduto a informazioni sbagliate e comportandosi di conseguenza - cosa legittima quando l'informazione falsa è ben mascherata o ritenuta vera in buona fede - ma prendendo per buone con un mero atto di cieca volontà informazioni smentite e invalidate in tempi brevissimi.

Per essere più preciso ho raccolto nella seguente tabella diciotto asserzioni particolarmente significative (avrei potuto raccoglierne dieci volte tanto, ma è il principio che deve essere chiaro) che sono state inizialmente formulate sulla patologia covid-19 e raccolte nella prima colonna, mettendo poi nella colonna successiva la relativa confutazione.

Non ho voluto dare un'orizzonte temporale preciso ai tempi delle confutazioni. Alcune sono state elaborate in alcune settimane, altre in un anno, altre ancora sono state immediate grazie alla sagacia di scienziati, medici, biologi e farmacologi, che subito hanno capito che qualcosa non quadrava ed hanno assunto un atteggiamento critico nei confronti della narrativa ufficiale, ma le note a fondo pagina con le fonti aiutano a ricostruire meglio il quadro generale e le tempistiche stesse.

Qual è il senso di questo mio articolo? 

Io non mi permetterei a questo punto di dire ad altri cosa debbano ritenere giusto o credibile perché ne ho constatato l'inutilità. Mi permetto invece più limitatamente di indicare cosa debbano respingere in quanto oggettivamente falso.

Un suggerimento più che sufficiente a compiere un primo, grande passo per emanciparsi dalla situazione attuale in quanto la mancanza, se vogliamo, di una spiegazione corretta non dovrebbe autorizzarci a prendere per buona una spiegazione sbagliata. Eppure questo è proprio quanto la maggior parte della gente continua a fare in questa situazione, condizionando non solo se stessa ma anche coloro che, si badi bene, non solo hanno respinto le asserzioni errate sulla pandemia ma, chi per competenza scientifica, chi per capacità di vaglio e raccolta di informazioni, lo ha fatto in tempi rapidissimi, già dalle prime battute dell'emergenza, per cui ciò che oggi dovrebbe essere chiaro a tutti, i contenuti della seconda colonna, per alcuni di noi erano già cristallini un anno fa.

E' il momento di una scelta di campo. Se si vive in un contesto fatto di falsità e si rifiuto l'opportunità di uscirne - ripeto, senza avere da parte mia la pretesa di dire ad altri quel che debbano pensare -, ebbene, allora non si è più vittime, ma complici della situazione.

Buona analisi.

La patologia covid-19... 

... prima

dopo

Malattia mortale

Mortalità inferiore all'1% dei positivi al virus1

Rapidissima e imprevedibile diffusione a partire da febbraio 2020

Virus presente in Italia da settembre/novembre 2019 e da allora diffusosi in tutta la nazione2

Necessario incenerire i cadaveri dei deceduti covid per rischio di infezione

Organi dei deceduti covid usati per trapianti3

Superati i 100.000 decessi

Conteggiati come decessi covid morti per altre cause con tampone positivo fatto entro i giorni precedenti.

Superato il milione di contagi

Contati come due distinti casi di positivi quelli risultati tali da un secondo tampone di controllo4

Indispensabile ricovero in terapia intensiva e respirazione assistita

Cure domiciliari precoci da una manciata di euro con farmaci banalissimi e già esistenti da anni. Intubazione quasi letale5

Malattia guaribile solo in ospedale se il soggetto sviluppa sintomi, assurdo curare a casa

Malattia nosocomiale che si diffonde nei reparti ospedalieri6

L'idrossiclorochina non funziona sui casi di media gravità come da studio pubblicato su The Lancet

Studio di The Lancet ritirato dopo pochi giorni perché scorretto, l'idrossiclorochina funziona e il Consiglio di Stato italiano la introduce7

Non uscire

Solo un contagio su 1.000 avviene all'aperto8

Evitare attività all'aperto

Caldo ed esposizione al Sole uccidono il virus in pochi secondi9

Necessarie chiusure e confinamenti

Andamento della malattia identico con o senza chiusure10

Disinfettare ambienti e superfici

Solo un contagio su 10.000 viene dal tocco di una superficie infetta11

Il vaccino riduce del 90% i ricoveri più gravi

Adeguate dosi di vitamina D riducono del 60% i casi gravi12

Il vaccino potrebbe non solo proteggere dalla malattia ma anche limitarne la trasmissione

Il vaccinato è contagioso anche rispetto al ceppo originale, vaccino poco utile contro le varianti13

La malattia naturale non conferisce immunità duratura, il vaccino sì

Ci vaccineremo per anni14

Mantenere le restrizioni per rallentare la circolazione del virus

Riaprire tutto e rimuovere le restrizioni affinché virus e organismo umano si adattino a vicenda e la malattia diventi innocua15

Chiudere le scuole perché i bambini sono facilmente portatori sani

Le scuole e i bambini non sono focolai di contagio16

Misure di protezione individuale necessarie a limitare i contagi

Diffusione del virus pressoché identica tra nazioni che hanno adottato misure di contenimento diverse

 

venerdì 9 aprile 2021

Il senso estetico del PD

di lorenzo merlo ekarrrt – 230321


Il comando si riduce ad un appeal che raduna le attenzioni più di quanto possa un argomento razionalmente presentato. Una premessa non soddisfatta da Zingaretti e neppure lo sarà da Letta.

Senza capo non c’è coda. Sull’impossibilità del PD di avere e tenere una rotta che punti ad un mondo che gli faccia onore. Se il tratteggio di queste righe è in qualche misura attendibile, se non emergono considerazioni che le rendano fallaci, dentro il crogiolo della politica da mercato, l’epilogo delle correnti sfascia-partito era ed è il minimo che possa accadere.

Lapidario

Gli oppositori hanno gioco facile a dare contro il PD. Se una volta lo scontro era portato e/o difeso dalle corazze ideologiche, imbracciate dai reggimenti di popolo, oggi i prodi della parte povera del mondo avanzano, anzi vagolano indifesi e disarmati, disposti a sedersi al tavolo per una briscola insieme agli odiati nemici. Tengono un’ombra sull’angolo e parlano di tutto, di passato e di futuro, ma sempre con nostalgia. Chi li ascolta non sa più chi sta da una parte e chi dall’altra.

Il loro partito che fu, quello che prima difendeva gli ultimi contro la mercificazione della vita e di loro stessi, è poi abbandonato il tema. Ora la sostengono.

È un partito che non ha mai sposato gli argomenti a favore dell’ambiente e ora si allineano a quelli succedanei adottati dal liberismo. Non si accorgono dell’ossimoro e procedono impettiti come fossero loro ad aver annunciato al mondo come stanno le cose in quanto a inquinamento e sfruttamento delle risorse. Al traino di idee non maturate dal loro seno cercano di trattenere la migrazione dei voti con la mascherata dell’ambiente.

Hanno detto addio alla sovranità nazionale in nome del progressismo e del progresso. Così lo chiamano questo disastro aereo della cultura, del sociale, dell’umanesimo. Lo hanno detto all’Europa convinti che da soli saremmo stati schiacciati. Ma da chi? Dal mercato, ovviamente. La sola divinità a cui portare rispetto. Peccare contro di essa sarebbe stato mortale. E siccome ogni ambito ha la sua verità, per ricostruire la dinamica che ci condurrebbe all’oblio ci vuole poco. Basta mettersi nel punto di mira in cui si traguarda il mondo, la vita, la storia, le relazioni, sotto l’egida ferrea del dominio del denaro.

Prima di chiunque altro, prima di certe destre, la sovranità è stata ceduta, ma che dico, regalata, come un oggetto senza valore, da loro stessi. Mentre porgevano la mano al liberismo, la ritraevano da quella degli elettori. Elettori che – credevano – non li avrebbero abbandonati per acquisiti meriti morali, quelli che prima di loro erano il vanto dei Radicali. L’attenzione alle minoranze li avrebbe salvati dal perdere i consensi di un tempo. Ma è stato un gesto calcolato, senza trasporto, messo in campo per radunare voti.

Un passo alla volta demolivano la struttura sociale e culturale. Un passo alla volta dall’ala sinistra si portavano al centro, da dove era più facile accodarsi verso un futuro senza più piazze e chiavi inglesi, dal quale guardare il mondo da asettici droni. Era un altro espediente di galleggiamento che tronfi di lungimiranza chiamavano progressista, ma che nel singolo caso si chiama trasformismo.

Dalle tavolate delle feste dell’Unità, dove si radunavano a cantare Bandiera rossa mangiando salamelle insieme agli uperari, pur di stare dalla parte giusta del mondo, con passo non sempre felpato passarono ai salotti, dove invece della mescita di spine c’erano spritz e gin and tonic, dove invece di fango e gazebo c’erano pregiati kilim a terra, rassegne di Einaudi e Opere complete di Editori Riuniti nelle librerie, invece di stivali e cerata, scarpe con la para e cravatte di tweed. Invece di parlare di salari, scioperi e diritto dei lavoratori, si dedicavano ad affermare posizioni di corrente, a cercare la strategia per guadagnare consenso interno, a tralasciare il significato popolare della direzione che avevano intrapreso.

Dominati dalla coercizione d’intelligenza imposta dal razionalismo, gli intellettuali si sono sempre allontanati da coloro che vorrebbero, o avrebbero dovuto, rappresentare. La gramsciana “connessione sentimentale” tra chi pensa e chi vive è progressivamente scemata.

Gli intellettuali, a volte pedanti per la capacità di argomentare razionalmente, fanno quadrare il cerchio ma non emozionare. Abili nel sezionare e storicizzare, meno nel coinvolgere e farsi cercare. Cioè capaci di relazionarsi a chi già è sul pezzo. Ma a tenere a distanza chi sul pezzo ancora non è. Capaci di provocare senso di solidarietà ma non bastante per muovere anche i corpi, le gambe e le dita fino a portarci all’urna per mettere la croce sul simbolo giusto, fino a sostenerli con le nostre parole.

Dopo che per anni si sono sentiti accusare di aver abbandonato il popolo dal quale erano nati, recentemente hanno iniziato ad ammetterlo, forse credendo così di poter trattenere ancora qualche nostalgico che davanti al mea culpa potesse impietosirsi e non, almeno lui, ammutinare.

Da anni non si sentono le voci che la sinistra ci aveva insegnato a riconoscere (“Dì qualcosa di sinistra!” Nanni Moretti, attuale dal 1989). Da anni, a partire dalla fine della guida delle ideologie, ciò che prima era nettamente distinto si è liquefatto sotto l’egida del pensiero unico. Frange di ex-nemici si sovrappongono o anche si invertono.

Se in molti a sinistra avevano fatto di tutto per restare in piedi nonostante la tempesta perfetta in cui si erano cacciati, forse ora si possono abbandonare le ricerche. Forse ora, dove prima c’era una massa, si può erigere una lapide.


Il senso

Indipendentemente da cosa contenga la Sinistra e dal giudizio culturale e politico che chiunque può esprimere, lo sfascio dichiarato dalle dimissioni del segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, può essere sfruttato per una riflessione extrapolitica, che riguarda le dinamiche emozionali della comunicazione, che riguarda il Comando. Ovvero, il potere magnetico e orientativo.

Un leader è tale quando aggrega. Aggregare è orientare le menti come fa la segatura di ferro davanti alla calamita. Un leader non spiega, non analizza, non argomenta, un leader emoziona. L’emozione condivisa implica la generazione di un corpo comune, dentro il quale ognuno sente la levitazione della propria forza.

Un leader sa che la comunicazione si muove su ponti emozionali, sa che una metafora permette salti di livello che un’argomentazione renderebbe stucchevoli e selettivi. Dunque quale figura è disponibile ora al PD che possa disporre del magnetismo necessario a ricomporre reggimenti, battaglioni, plotoni e squadre capaci di agire per scopi comuni?

Un’esperienza comune erano le manifestazioni di massa, era far parte del proletariato, era sentire il supporto reciproco tra pari grado e dentro la piramide della inevitabile gerarchia, da cui la parola compagno giustamente cercava di eluderne il peso specifico.

Valori e implicita tradizione costituivano il nervo spirituale di una comunità, di un’aggregazione. Esprimevano ideologie per le quali si poteva anche mettere in conto la morte per difenderle.

Ma ora? Dopo aver abbandonato le ideologie ed essere passati all’individualismo, dopo aver partecipato a sciogliere nell’acido dell’edonismo la monade della famiglia, dopo aver accreditato la tecnologia come sinonimo di progresso, il terreno umanistico che si potrebbe definire analogico è stato buttato al macero. Li sento già: “Per forza, siamo progressisti”. Avranno ragione ad essersi buttati a capofitto nel Mondo.2? O avranno dimenticato che l’uomo ridotto alle categorie misurabili del positivismo muore?

I magneti di prima, analogici, nati per durare, sono stati sostituiti da quelli di oggi, digitali, nati ad obsolescenza programmata. La Patria è dimenticata e antiquata, conta il benefit. La guerra tra classi non ha campi di battaglia dove svolgersi, occupati tutti dalla guerra tra poveri.


Senza alternative

Se Enrico Letta, il nuovo Segretario del Partito, tutt’altro che uomo di comando, riuscirà a riassestare i suoi subalterni e a recuperare non il terreno ma i voti perduti, significa che la tecnocrazia ha definitivamente sottratto agli uomini il senso della vita. Significa che il senso intellettuale ha asfissiato quello emozionale. Un successo che i razionalisti vanteranno senza avvedersi del boomerang che hanno lanciato.

Identicamente al leader fa il comico. Esso emoziona e tutti lo applaudono. Il comico è un esteta – cavalca l’immediatezza dei sensi non la lentezza dei ragionamenti – e perciò un leader. Diffonde appeal, coglie le lunghezze d’onda che ci fanno vibrare, che ci fanno innamorare o respingere. Quelle che, sole, sanno accarezzarci dove custodiamo la nostra verità. Come il comico, un comandante fa sangue, coinvolge, piace, stravolge, tiranneggia, prende per la pancia e quando serve per la testa. Come il comico, un leader non è politicamente corretto, è emotivamente trainante. Per questo è percepito e riconosciuto come leader anche da chi non ne condivide espressioni e pensiero. Ma il vero risultato non sta nel motto di spirito, di unione e corpo che certo fa bene. Il vero risultato è che la sua ironia, il suo sarcasmo, le sue battute smussano gli angoli del discorso che vorrebbe criticare. Il comico è un digestivo della pietanza più tossica. Colui che si crede libero di criticare il potere di fatto ne è parte, forse la migliore, la più utile. La società dello spettacolo e il consumo di informazione hanno figliato un mostro con tanti seni, sufficienti a nutrire tutti.

E, gran finale, la suggestione, salvo la Champions e il Grande fratello, è quella che non ci siano alternative.