Non è una novità che il sistema capitalista e il suo pensiero unico globali facciano perno su una tragicomica inversione dei significanti e significati, prendendo spunto in questo dalle stesse tecniche di comunicazione suggerite nel 1984 da George Orwell in cui compito del Ministero della Verità era diffondere una menzogna ritenuta però veritiera quasi per autosuggestione.
Ed è così che oggi chi vede giustamente nell'immigrazione di massa una manipolazione del capitale utile a scatenare sia guerre tra poveri per colpire i diritti dei lavoratori, sia la miccia per accendere disordini sociali, sia ancora un mezzo per far sparire la pluralità di pensieri a favore di una cultura unica facilmente controllabile, viene considerato paradossalmente razzista.
Eppure questa razionale opposizione all'immigrazione parte proprio dalla constatazione che i paesi ricchi del mondo stanno sfruttando quelli poveri per mantenerli nella miseria e indurre quindi ingiustamente i popoli locali a emigrare abbandonando quella terra in cui in altre circostanze sarebbero ben volentieri rimasti.
Diversamente chi, dietro la maschera della globalizzazione, dei porti aperti, del mondo borderless, appoggia questi movimenti e l'integrazione forzata quasi con atteggiamento da tifoso da stadio, considera se stesso antirazzista ma appoggia implicitamente lo sfruttamento dei paesi di provenienza dei poveri immigrati, poiché senza tale sfruttamento i movimenti migratori nemmeno inizierebbero.
Ma se questo fenomeno comunicativo può apparire banale, è una sua declinazione specifica contro le donne a non essere ancora stata presa in considerazione.
La retorica immigrazionista vorrebbe infatti sottovalutare l'inverno, o meglio sarebbe dire l'inferno demografico italiano ed europeo, affermando che l'afflusso di nuovi immigrati dovrebbe compensare il calo di nascite nel nostro paese e continente.
Tale retorica infarcita di buonismo fugge però anche in questo caso da una nuova contraddizione, poiché il flusso di immigrati può essere sostenuto non solo dalla persistente miseria del sud del mondo ma anche da un tasso di natalità locale ben al di sopra di quello italiano ed europeo che garantisca ai barconi sempre nuovi e giovani passeggeri disperati.
Se dunque, portando a compimento una perversa idea di emancipazione femminista che disprezza la potenzialità materna della donna, gli immigrazionisti vedono di buon occhio le culle vuote di casa nostra, gli stessi immigrazionisti non sembrano farsi troppi problemi nel considerare le donne africane, pakistane, indiane come incubatrici umane quanto mai utili a rinfoltire le fila dell'esercito industriale di riserva di marxista memoria e la merce senziente sulla cui pelle ONG politicamente corrette in complicità con le organizzazioni criminali e il Vaticano non esitano a fare i concludere i propri lucrosi affari.
Il tutto, sempre in omaggio alla comunicazione orwelliana, mantenuto nell'implicito, nel non detto, poiché l'affermare una simile verità smaschererebbe il gioco sporco dei due pesi e due misure in cui la liberazione dal "giogo" della maternità per la donna occidentale è vista come emancipazione utile alle logiche del lavoro e dello sviluppo capitalista, ma al tempo stesso è necessaria la riduzione delle donne del mondo povero a incubatrici e madri "di professione".
Questo dipinge una volta di più il reale gioco delle rappresentanze politiche di oggi del tutto rovesciato rispetto al passato. La classe proletaria era così definita proprio perché la sua unica vera ricchezza era la prole, la capacità di mettere al mondo figli che ripagassero la famiglia sia affettivamente sia con un misero salario in più. Sorprende o meglio sarebbe dire disgusta che i nipotini della classe politica che un tempo tutelava proprio il proletariato, e ci riferiamo alle sinistre orcobaleno della globalizzazione, abbiano radicalmente cambiato posizione rispetto al rispettabile ideale comunista, e se il valore della prole è oggi disperezzato e precarizzato in occidente, questa sinistra non si fa problemi a sfruttare proprio gli ultimi proletari rimasti al mondo: le madri dei paesi poveri del globo, private di tutto, persino della speranza, fuorchè della loro amorevole potenzialità generatrice di figli.
Figli subito strappati, manipolati e gettati nel tritacarne delle migrazioni e del nuovo schiavismo del lavoro nella peggior (il)logica del sistema capitalista.
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