martedì 13 aprile 2021

Covid ieri e oggi: ritratto di una panconfusione

 

da Simone Boscali

Quella che si gioca sull'affaire covid 19, patologia causata dal virus sars-cov-2, non è solo una partita di tipo sanitario e nemmeno, nonostante l'estrema importanza di questo aspetto, solo una lotta per la libertà.

Essa è infatti un terreno di osservazione utilissimo della capacità di autoinganno che l'opinione pubblica ha dimostrato di avere su se stessa, amplificando un'emergenza e mantenendola in piedi non perché abbia creduto a informazioni sbagliate e comportandosi di conseguenza - cosa legittima quando l'informazione falsa è ben mascherata o ritenuta vera in buona fede - ma prendendo per buone con un mero atto di cieca volontà informazioni smentite e invalidate in tempi brevissimi.

Per essere più preciso ho raccolto nella seguente tabella diciotto asserzioni particolarmente significative (avrei potuto raccoglierne dieci volte tanto, ma è il principio che deve essere chiaro) che sono state inizialmente formulate sulla patologia covid-19 e raccolte nella prima colonna, mettendo poi nella colonna successiva la relativa confutazione.

Non ho voluto dare un'orizzonte temporale preciso ai tempi delle confutazioni. Alcune sono state elaborate in alcune settimane, altre in un anno, altre ancora sono state immediate grazie alla sagacia di scienziati, medici, biologi e farmacologi, che subito hanno capito che qualcosa non quadrava ed hanno assunto un atteggiamento critico nei confronti della narrativa ufficiale, ma le note a fondo pagina con le fonti aiutano a ricostruire meglio il quadro generale e le tempistiche stesse.

Qual è il senso di questo mio articolo? 

Io non mi permetterei a questo punto di dire ad altri cosa debbano ritenere giusto o credibile perché ne ho constatato l'inutilità. Mi permetto invece più limitatamente di indicare cosa debbano respingere in quanto oggettivamente falso.

Un suggerimento più che sufficiente a compiere un primo, grande passo per emanciparsi dalla situazione attuale in quanto la mancanza, se vogliamo, di una spiegazione corretta non dovrebbe autorizzarci a prendere per buona una spiegazione sbagliata. Eppure questo è proprio quanto la maggior parte della gente continua a fare in questa situazione, condizionando non solo se stessa ma anche coloro che, si badi bene, non solo hanno respinto le asserzioni errate sulla pandemia ma, chi per competenza scientifica, chi per capacità di vaglio e raccolta di informazioni, lo ha fatto in tempi rapidissimi, già dalle prime battute dell'emergenza, per cui ciò che oggi dovrebbe essere chiaro a tutti, i contenuti della seconda colonna, per alcuni di noi erano già cristallini un anno fa.

E' il momento di una scelta di campo. Se si vive in un contesto fatto di falsità e si rifiuto l'opportunità di uscirne - ripeto, senza avere da parte mia la pretesa di dire ad altri quel che debbano pensare -, ebbene, allora non si è più vittime, ma complici della situazione.

Buona analisi.

La patologia covid-19... 

... prima

dopo

Malattia mortale

Mortalità inferiore all'1% dei positivi al virus1

Rapidissima e imprevedibile diffusione a partire da febbraio 2020

Virus presente in Italia da settembre/novembre 2019 e da allora diffusosi in tutta la nazione2

Necessario incenerire i cadaveri dei deceduti covid per rischio di infezione

Organi dei deceduti covid usati per trapianti3

Superati i 100.000 decessi

Conteggiati come decessi covid morti per altre cause con tampone positivo fatto entro i giorni precedenti.

Superato il milione di contagi

Contati come due distinti casi di positivi quelli risultati tali da un secondo tampone di controllo4

Indispensabile ricovero in terapia intensiva e respirazione assistita

Cure domiciliari precoci da una manciata di euro con farmaci banalissimi e già esistenti da anni. Intubazione quasi letale5

Malattia guaribile solo in ospedale se il soggetto sviluppa sintomi, assurdo curare a casa

Malattia nosocomiale che si diffonde nei reparti ospedalieri6

L'idrossiclorochina non funziona sui casi di media gravità come da studio pubblicato su The Lancet

Studio di The Lancet ritirato dopo pochi giorni perché scorretto, l'idrossiclorochina funziona e il Consiglio di Stato italiano la introduce7

Non uscire

Solo un contagio su 1.000 avviene all'aperto8

Evitare attività all'aperto

Caldo ed esposizione al Sole uccidono il virus in pochi secondi9

Necessarie chiusure e confinamenti

Andamento della malattia identico con o senza chiusure10

Disinfettare ambienti e superfici

Solo un contagio su 10.000 viene dal tocco di una superficie infetta11

Il vaccino riduce del 90% i ricoveri più gravi

Adeguate dosi di vitamina D riducono del 60% i casi gravi12

Il vaccino potrebbe non solo proteggere dalla malattia ma anche limitarne la trasmissione

Il vaccinato è contagioso anche rispetto al ceppo originale, vaccino poco utile contro le varianti13

La malattia naturale non conferisce immunità duratura, il vaccino sì

Ci vaccineremo per anni14

Mantenere le restrizioni per rallentare la circolazione del virus

Riaprire tutto e rimuovere le restrizioni affinché virus e organismo umano si adattino a vicenda e la malattia diventi innocua15

Chiudere le scuole perché i bambini sono facilmente portatori sani

Le scuole e i bambini non sono focolai di contagio16

Misure di protezione individuale necessarie a limitare i contagi

Diffusione del virus pressoché identica tra nazioni che hanno adottato misure di contenimento diverse

 

venerdì 9 aprile 2021

Il senso estetico del PD

di lorenzo merlo ekarrrt – 230321


Il comando si riduce ad un appeal che raduna le attenzioni più di quanto possa un argomento razionalmente presentato. Una premessa non soddisfatta da Zingaretti e neppure lo sarà da Letta.

Senza capo non c’è coda. Sull’impossibilità del PD di avere e tenere una rotta che punti ad un mondo che gli faccia onore. Se il tratteggio di queste righe è in qualche misura attendibile, se non emergono considerazioni che le rendano fallaci, dentro il crogiolo della politica da mercato, l’epilogo delle correnti sfascia-partito era ed è il minimo che possa accadere.

Lapidario

Gli oppositori hanno gioco facile a dare contro il PD. Se una volta lo scontro era portato e/o difeso dalle corazze ideologiche, imbracciate dai reggimenti di popolo, oggi i prodi della parte povera del mondo avanzano, anzi vagolano indifesi e disarmati, disposti a sedersi al tavolo per una briscola insieme agli odiati nemici. Tengono un’ombra sull’angolo e parlano di tutto, di passato e di futuro, ma sempre con nostalgia. Chi li ascolta non sa più chi sta da una parte e chi dall’altra.

Il loro partito che fu, quello che prima difendeva gli ultimi contro la mercificazione della vita e di loro stessi, è poi abbandonato il tema. Ora la sostengono.

È un partito che non ha mai sposato gli argomenti a favore dell’ambiente e ora si allineano a quelli succedanei adottati dal liberismo. Non si accorgono dell’ossimoro e procedono impettiti come fossero loro ad aver annunciato al mondo come stanno le cose in quanto a inquinamento e sfruttamento delle risorse. Al traino di idee non maturate dal loro seno cercano di trattenere la migrazione dei voti con la mascherata dell’ambiente.

Hanno detto addio alla sovranità nazionale in nome del progressismo e del progresso. Così lo chiamano questo disastro aereo della cultura, del sociale, dell’umanesimo. Lo hanno detto all’Europa convinti che da soli saremmo stati schiacciati. Ma da chi? Dal mercato, ovviamente. La sola divinità a cui portare rispetto. Peccare contro di essa sarebbe stato mortale. E siccome ogni ambito ha la sua verità, per ricostruire la dinamica che ci condurrebbe all’oblio ci vuole poco. Basta mettersi nel punto di mira in cui si traguarda il mondo, la vita, la storia, le relazioni, sotto l’egida ferrea del dominio del denaro.

Prima di chiunque altro, prima di certe destre, la sovranità è stata ceduta, ma che dico, regalata, come un oggetto senza valore, da loro stessi. Mentre porgevano la mano al liberismo, la ritraevano da quella degli elettori. Elettori che – credevano – non li avrebbero abbandonati per acquisiti meriti morali, quelli che prima di loro erano il vanto dei Radicali. L’attenzione alle minoranze li avrebbe salvati dal perdere i consensi di un tempo. Ma è stato un gesto calcolato, senza trasporto, messo in campo per radunare voti.

Un passo alla volta demolivano la struttura sociale e culturale. Un passo alla volta dall’ala sinistra si portavano al centro, da dove era più facile accodarsi verso un futuro senza più piazze e chiavi inglesi, dal quale guardare il mondo da asettici droni. Era un altro espediente di galleggiamento che tronfi di lungimiranza chiamavano progressista, ma che nel singolo caso si chiama trasformismo.

Dalle tavolate delle feste dell’Unità, dove si radunavano a cantare Bandiera rossa mangiando salamelle insieme agli uperari, pur di stare dalla parte giusta del mondo, con passo non sempre felpato passarono ai salotti, dove invece della mescita di spine c’erano spritz e gin and tonic, dove invece di fango e gazebo c’erano pregiati kilim a terra, rassegne di Einaudi e Opere complete di Editori Riuniti nelle librerie, invece di stivali e cerata, scarpe con la para e cravatte di tweed. Invece di parlare di salari, scioperi e diritto dei lavoratori, si dedicavano ad affermare posizioni di corrente, a cercare la strategia per guadagnare consenso interno, a tralasciare il significato popolare della direzione che avevano intrapreso.

Dominati dalla coercizione d’intelligenza imposta dal razionalismo, gli intellettuali si sono sempre allontanati da coloro che vorrebbero, o avrebbero dovuto, rappresentare. La gramsciana “connessione sentimentale” tra chi pensa e chi vive è progressivamente scemata.

Gli intellettuali, a volte pedanti per la capacità di argomentare razionalmente, fanno quadrare il cerchio ma non emozionare. Abili nel sezionare e storicizzare, meno nel coinvolgere e farsi cercare. Cioè capaci di relazionarsi a chi già è sul pezzo. Ma a tenere a distanza chi sul pezzo ancora non è. Capaci di provocare senso di solidarietà ma non bastante per muovere anche i corpi, le gambe e le dita fino a portarci all’urna per mettere la croce sul simbolo giusto, fino a sostenerli con le nostre parole.

Dopo che per anni si sono sentiti accusare di aver abbandonato il popolo dal quale erano nati, recentemente hanno iniziato ad ammetterlo, forse credendo così di poter trattenere ancora qualche nostalgico che davanti al mea culpa potesse impietosirsi e non, almeno lui, ammutinare.

Da anni non si sentono le voci che la sinistra ci aveva insegnato a riconoscere (“Dì qualcosa di sinistra!” Nanni Moretti, attuale dal 1989). Da anni, a partire dalla fine della guida delle ideologie, ciò che prima era nettamente distinto si è liquefatto sotto l’egida del pensiero unico. Frange di ex-nemici si sovrappongono o anche si invertono.

Se in molti a sinistra avevano fatto di tutto per restare in piedi nonostante la tempesta perfetta in cui si erano cacciati, forse ora si possono abbandonare le ricerche. Forse ora, dove prima c’era una massa, si può erigere una lapide.


Il senso

Indipendentemente da cosa contenga la Sinistra e dal giudizio culturale e politico che chiunque può esprimere, lo sfascio dichiarato dalle dimissioni del segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, può essere sfruttato per una riflessione extrapolitica, che riguarda le dinamiche emozionali della comunicazione, che riguarda il Comando. Ovvero, il potere magnetico e orientativo.

Un leader è tale quando aggrega. Aggregare è orientare le menti come fa la segatura di ferro davanti alla calamita. Un leader non spiega, non analizza, non argomenta, un leader emoziona. L’emozione condivisa implica la generazione di un corpo comune, dentro il quale ognuno sente la levitazione della propria forza.

Un leader sa che la comunicazione si muove su ponti emozionali, sa che una metafora permette salti di livello che un’argomentazione renderebbe stucchevoli e selettivi. Dunque quale figura è disponibile ora al PD che possa disporre del magnetismo necessario a ricomporre reggimenti, battaglioni, plotoni e squadre capaci di agire per scopi comuni?

Un’esperienza comune erano le manifestazioni di massa, era far parte del proletariato, era sentire il supporto reciproco tra pari grado e dentro la piramide della inevitabile gerarchia, da cui la parola compagno giustamente cercava di eluderne il peso specifico.

Valori e implicita tradizione costituivano il nervo spirituale di una comunità, di un’aggregazione. Esprimevano ideologie per le quali si poteva anche mettere in conto la morte per difenderle.

Ma ora? Dopo aver abbandonato le ideologie ed essere passati all’individualismo, dopo aver partecipato a sciogliere nell’acido dell’edonismo la monade della famiglia, dopo aver accreditato la tecnologia come sinonimo di progresso, il terreno umanistico che si potrebbe definire analogico è stato buttato al macero. Li sento già: “Per forza, siamo progressisti”. Avranno ragione ad essersi buttati a capofitto nel Mondo.2? O avranno dimenticato che l’uomo ridotto alle categorie misurabili del positivismo muore?

I magneti di prima, analogici, nati per durare, sono stati sostituiti da quelli di oggi, digitali, nati ad obsolescenza programmata. La Patria è dimenticata e antiquata, conta il benefit. La guerra tra classi non ha campi di battaglia dove svolgersi, occupati tutti dalla guerra tra poveri.


Senza alternative

Se Enrico Letta, il nuovo Segretario del Partito, tutt’altro che uomo di comando, riuscirà a riassestare i suoi subalterni e a recuperare non il terreno ma i voti perduti, significa che la tecnocrazia ha definitivamente sottratto agli uomini il senso della vita. Significa che il senso intellettuale ha asfissiato quello emozionale. Un successo che i razionalisti vanteranno senza avvedersi del boomerang che hanno lanciato.

Identicamente al leader fa il comico. Esso emoziona e tutti lo applaudono. Il comico è un esteta – cavalca l’immediatezza dei sensi non la lentezza dei ragionamenti – e perciò un leader. Diffonde appeal, coglie le lunghezze d’onda che ci fanno vibrare, che ci fanno innamorare o respingere. Quelle che, sole, sanno accarezzarci dove custodiamo la nostra verità. Come il comico, un comandante fa sangue, coinvolge, piace, stravolge, tiranneggia, prende per la pancia e quando serve per la testa. Come il comico, un leader non è politicamente corretto, è emotivamente trainante. Per questo è percepito e riconosciuto come leader anche da chi non ne condivide espressioni e pensiero. Ma il vero risultato non sta nel motto di spirito, di unione e corpo che certo fa bene. Il vero risultato è che la sua ironia, il suo sarcasmo, le sue battute smussano gli angoli del discorso che vorrebbe criticare. Il comico è un digestivo della pietanza più tossica. Colui che si crede libero di criticare il potere di fatto ne è parte, forse la migliore, la più utile. La società dello spettacolo e il consumo di informazione hanno figliato un mostro con tanti seni, sufficienti a nutrire tutti.

E, gran finale, la suggestione, salvo la Champions e il Grande fratello, è quella che non ci siano alternative.


domenica 14 febbraio 2021

Bastava ascoltare Gaber


di lorenzo merlo ekarrrt 310121

 C’è un rosario di evidenze che unisce le perle della crisi del 2008 a quella della gestione della presunta* pandemia? C’è in atto un’azione per conformare società idonee a essere gestite dai fuochisti del vapore del mondo? L’eventualità di un epilogo cruento con reazioni di tipo rivoluzionario, ha un’alternativa di tipo diverso?

Per una volta mi sarebbe piaciuto essere un economista. Avrei compiutamente citato bond e subprime, banche, persone, percentuali e istituti. Non lo sono. Ed è meglio. Mi evito che qualcuno si attacchi ai particolari. Ma non come fanno gli sfortunati inetti all’astrazione, con i quali è difficile andare oltre le forme, oltre le apparenti differenze. Piuttosto come fanno quelli lucidi nel leggere chi gli parla. Nel comprendere la logica di base dell’interlocutore. Sono quelli che hanno le doti per deviare il discorso quando non torna comodo seguirlo. Piazzano un diversivo degno di Sun Tzu e il gioco, con buona probabilità, è fatto. Un buon diversivo è tale quando rapisce e sposta l’attenzione per il tempo necessario a compiere la missione dei nostri interessi.

La crisi del mercato immobiliare americano scoppiata nel 2008, 12 anni fa, si è propagata in tutto il mondo capitalista occidentale. Nel giro di pochi anni, la Grecia è fallita, altri stati hanno traballato, tutti i mercati europei sono stati terremotati. Quelli asiatici ne hanno risentito riducendo la crescita del Pil, il Giappone in particolare. Solo Cina e India sono rimaste escluse dalla crisi. In questo collasso finanziario qualcuno ha osservato il culmine del capitalismo stesso, il termine della sua egemonia sulle menti.

È stato scavato un baratro tra la vita a misura d’uomo e quella virtuale. Per nasconderlo, lo si è riempito di avidità camuffata in tutti i modi possibili, con tutti i diversivi necessari, fossero guerre, leggi popolari sull’assistenza sanitaria. E molti seguitavano a credere che opportuni correttivi dei regolamenti avrebbero mantenuto il capitalismo in testa alla classifica dei migliori mondi possibili.

Ma il fondo del baratro non ha retto il peso di tanta avidità. Il vuoto che ne restava era il segno, sia di un sistema che aveva saputo fare promesse e che aveva saputo venderle, che di una consapevolezza diffusa e crescente su come realmente veniva e viene concepito il cittadino medio da parte di chi possedeva e possiede i mezzi per guidarne i comportamenti. Su un crescente senso di ingiustizia, vessazione, alienazione. Ma anche – ed è il punto – che i mezzi e le strategie che lo avevano fino a quel momento sorretto non sarebbero più bastate. Era necessaria un’idea guida di nuova generazione, che non mandasse il banco definitivamente all’aria. Le rivolte di carattere rivoluzionario, temute da molti osservatori, dovevano essere scongiurate. Conflitti locali avrebbero sovvertito l’ordine e sostituito i vassalli e i valvassori dei sovrani della terra. Serviva dunque qualcosa che permettesse loro di mantenere lo scettro al cospetto di un’opinione pubblica non più ingenua, quantomeno, come prima. Una nuova strategia per seguitare a godere del servizio dei subalterni del mondo.

[A dire il vero, sui subalterni ci sarebbe molto da discutere. E forse, più se ne discute – a meno di essere intellettualmente disonesti – più si devono riconoscere le responsabilità loro e dei loro esponenti politici. A meno che non si voglia mandare al macero Foucault, Pasolini, Chomsky, Morin e compagnia. Ma sarebbe bastato Gaber].

Se fino al 2008 distribuire briciole era bastante a tenerci a bada, dopo quella data e la corrispondente diffusione della consapevolezza di come siamo considerati – carne da mercato –, è emersa la necessità di mettere in campo diversivi di maggior spessore.

Ma nonostante la caduta rovinosa, le élite e il loro occulto vertice, alla faccia di tante nefaste previsioni, non stanno per essere sopraffatte. Hanno tutto sotto relativo controllo. E non per buona sorte, per intelligenza strategica e mezzi economici. In più, con la potenza di fuoco della comunicazione – nonché di censura – di cui dispongono, hanno relativamente poco o nulla da temere. Al massimo sparirà qualcuno di loro – qualche Theodore Kaczynski c’è stato e ci sarà ancora –, ma non il corpo grasso e ben protetto della cricca. Non si può nemmeno dire che abbiano saputo reagire. Sembra infatti preferibile pensare che fossero da tempo in attesa di mettere in atto un piano all’altezza dei tempi. Chiamali stupidi!

Indipendentemente da quanto si sarebbe potuto fare prima – “Se me lo dicevi prima”: Jannacci l’ha spiegato meglio di chiunque – oggi la consapevolezza di essere ingannati è considerata perfino nella comunicazione delle banche. Non più tecnici competenti e professionali, con grande esperienza e specializzazione, ma amici che si prendono cura di te. Non come prima, pare di leggere tra le righe dei testi, nelle scelte di foto, grafica e colori. Una versione bancaria del mulino bianco, che ha avuto così tanto successo.

Il forte timore e/o la consapevolezza di essere presi in giro, legalmente derubati, si estende da anni a macchia d’olio. Chi tirava il carro – e lo tira ancora – è sul chi vive. La sfiducia nei confronti delle istituzioni e della politica è da tempo ai massimi storici e la salita non accenna a rallentare. Se la domanda è: Ma dove hai preso questo dato? Per strada, è la risposta. E se per strada circola di tutto, esci dall’ufficio con gli arazzi e gli stucchi e scendi giù, dove potrai misurare la distanza dell’uomo comune dalla politica e dalle istituzioni.

A dire il vero è stato fatto. La loro intelligence lavora alacremente per capire quanto manchi alla scintilla che sarà meglio evitare dia fuoco alla miccia del tritolo sociale. Sono per strada eccome, a maggior ragione in questa fase che nessuno è disposto a definire in altro modo che difficile.

Ma mentre per tutti la fase è impegnativa, nel senso che si continuano ad aggiungere buchi alla cintura, per qualcuno lo è – o lo è stata – per escogitare quella accennata nuova idea, il diversivo utile allo scopo del controllo sociale e del mantenimento del potere.

È forse in questo quadro che va interpretata la presunta* pandemia da SARS-CoV-2 – sempre non sia essa stessa un diversivo scelto – la quale ha dato loro il terreno per avviare una campagna mediatica, che oltre ad essere terrorizzante, contiene le indicazioni utili per vivere nel nuovo mondo. Tra cui flessibilità, proprietà privata impossibile perché troppo costosa, precarietà, accondiscendenza felice del reddito politico, responsabilità di come vanno le cose, riduzione degli spostamenti, eventuale passaporto sanitario, guerre tra poveri. Mescola tutto con il controllo sanitario, i vaccini a tappeto “per il bene di tutti” e il 5G – presentato come un passo avanti del progresso – e viene fuori la miscela utile per intendere le modalità di una riduzione demografica, diciamo, incruenta. E chi resterà loderà le élite, perché loro e solo loro si saranno occupate dell’ambiente. Loro e solo loro avranno migliorato il mondo. Accadrà non diversamente da come lo fanno ora, assumendo Greta, estraendo dal cappello economie circolari, verdi, ed economie sostenibili. Se le persone credono ora a queste miserie, loro hanno la certezza che crederanno alle prossime. Già conosciamo gli effetti della comunicazione ridondante: il cibo spazzatura è ammaliante e irresistibile; i produttori di latte vaccino ora tacciono, ma al tempo tacciono, tempo perché non hanno denaro per una campagna che sarebbe simile a quella di Hollywood, che in tutti i film faceva casualmente comparire su tutte le tavole, in mano a tutti i bambini. Altrettanto aveva fatto con le Marlboro e la Budweiser. E così via per la generazione di bisogni, per ogni scelta che non faremmo se non già presente in noi attraverso la ridondante comunicazione di commercianti e venditori.

Strutturalmente, nulla di differente, ma proprio nulla – salvo per quelli inetti all’astrazione – rispetto a quanto messo in campo a suo tempo negli Stati Uniti con la politica a tassi bassissimi dei mutui immobiliari. La sirena per la casa di proprietà incantò molti in attesa di compiere un passo verso il sogno americano. Più persone firmavano un mutuo e più persone erano controllabili: mai si sarebbero comportate in modo da comprometterne l’estinzione; mai avrebbero reagito a politiche impopolari, al crescente liberismo ammazza cristiani.

I debiti dei Paesi non saranno mai saldati, la disoccupazione non potrà calare, anzi, la flessibilità sostituirà la garanzia del posto fisso. Servono persone docili, che siano disponibili al reddito politico, che si spostino poco, che possano lasciarsi controllare contente di scaricare giga in un secondo. La riduzione della disponibilità economica incrementerà la disponibilità a non generare, a non mettere su famiglia. Incrementerà il mercato del condiviso, dello share, le proprietà private saranno tassate in modo crescente, favorendone le vendite agli stessi che ci dicono che così non avremo più spese di manutenzione, e così via; gli affitti diventeranno crescentemente strozzanti (da strozzini). Nel contempo, non potremo rinunciare al digitale, non potremo sottrarci all’obsolescenza sempre più cinica. Il cibo decente avrà prezzi più selettivi di quanto non sia già. L’assuefazione alla comunicazione indurrà crescente dipendenza e alienazione connessa. Si cercherà – più patologicamente di quanto già non sia – il nuovo messaggio, la nuova mail, la nuova notizia pur di avvertire il pulsare del succedaneo della vita, il solo disponibile alla maggioranza. Il bene del pianeta sarà a cura di multinazionali, nessuna amministrazione avrà il denaro per prendersene cura anche nel proprio piccolo. Attraverso quella vetrina, le nuove generazioni celebreranno il bosco risparmiato e contemporaneamente applaudiranno i benefattori dell’ambiente.

Il nuovo standard si sta attestando nelle persone. È uno sfregio a tutto ciò che abbiamo creduto: così come l’edonismo e l’opulenza avevano fatto a meno degli uomini che con una stretta di mano non avevano altro da aggiungere, ora la dimensione umana si ritrova con uno spazio ulteriormente ridotto nelle interazioni. Sarà materia da specialisti. Psicologi a loro volta in lotta per gestire l’alienazione, dovranno gestire quella dei loro pazienti. Insegnanti con sempre meno peso educativo diverranno tecnici che spiegano qualche on e off.

L’eros, l’infinito spirito della vita, è così rinchiuso in nuove categorie. Chi nascerà domani le scambierà come verità e su quelle fonderà la propria biografia e i propri valori. L’ultima generazione che ha toccato il mondo a misura d’uomo è in estinzione. Il diversivo ha funzionato per il tempo necessario allo scopo.

E il bello è che la fascia media sarà l’esercito di quella che le sta sopra. Saranno i collusi delle élite a difenderle, a fare il lavoro sporco. Neri e poveracci si prenderanno tutta la colpa e tutto l’odio. Farne a meno non sarà cruento, sarà normale.


* Secondo la definizione dell’Oms, una pandemia è la diffusione in tutto il mondo di una nuova malattia e generalmente indica il coinvolgimento di almeno due continenti, con una sostenuta trasmissione da uomo a uomo. La gravità di una malattia non è il parametro decisivo perché venga dichiarata una pandemia, che riguarda invece l’efficacia con la quale una malattia si diffonde.

*Presunta in quanto l’attuale tasso di mortalità – rapporto tra decessi e popolazione – mondiale del Covid-19 varia tra lo 0,3 e l’1%. Fino ad oggi la giornata più mortale è stata lo scorso 24 gennaio 2021, che ha segnato 14.045 deceduti nel mondo. Dividendo il dato per 7 miliardi e 700 milioni corrispondente alla popolazione mondiale all’ottobre 2019, risulta 0,5%. Se la mortalità per incidenti d’auto supera il 5% e se gli automobilisti sono presenti in tutti i continenti, forse si tratta di presunta pandemia.

giovedì 26 novembre 2020

La scintilla

 

di Lorenzo Merlo


Ci stiamo avviando dove non basterà un pretesto per trovarsi al punto di non ritorno?

Nella burrasca la barca è messa alla prova e così il suo equipaggio. Scricchiola fino a far pensare al peggio. Strallo, sartie e paterazzo terranno? Cederanno alla furia? Tutti si chiedono. O senza albero andremo alla deriva, naufraghi, in un mare di nere fauci? Avremo almeno la forza per lottare con il più debole di noi per strappargli di mano un brandello di fasciame per stare a galla?

Quest’ultima, una domanda che fino a ieri non avremmo avuto il sentimento per concepire. Fino a ieri la barca non scricchiolava e le sartie cantavano la loro pacifica ballata. Fino a ieri avevamo creduto un futuro simile al passato. Nella sostanza e nei valori. Ma la burrasca ha mandato all’aria i sedimenti sui quali, nonostante tutte le iniquità, di fronte a noi vedevamo terra. Quella della società, dell’identità, della cultura e, tutto compreso, della civiltà. C’era comunque molto da fare e con quello che avevamo l’avremmo fatto. C’era il senso della vita, di se stessi. C’era una bussola che ci avrebbe portato in porto, alla faccia di tutte le deviazioni magnetiche.

Sapevamo anche prima della tempesta come stavano le cose tra l’equipaggio. Antipatie, soprusi, prepotenze, minacce. Ma sentivamo che il destino era comune, che tutti avevano in sé il senso di operare per raggiungere in fondo la medesima terra. Insomma, le diatribe non erano sufficienti a generare gli ammutinamenti che molti, dentro se stessi, ringhiando minacciavano.

Ma ora che siamo al si salvi chi può, tutto è cambiato e, nonostante la peciosa notte, tutto è chiaro. Il SARS-CoV-2/Covid-19, ciò che attraverso la mediazione umano-politico-sanitaria ha messo in essere, non è che una specie di amplificatore della cacofonia sociale preesistente. Che altra sonorità sarebbe mai potuta uscire dall’individualismo, impostore di una vista avida e miope. Del resto, solo una società cariata che, in nome della globalizzazione, ha voluto gettare alle ortiche una cultura comune, non può crescere i suoi componenti e se stessa con i valori dell’evoluzione, ovvero quelli della bellezza, dell’armonia, della forza interiore, necessari alla via per la serenità esistenziale.

Era così anche prima del mondialismo? È sempre stato così? Certo. Ma se prima per mantenere il controllo del popolo bue era sufficiente un giogo affinché credesse fosse quello il suo ruolo, oggi disponiamo di un’estensione di consapevolezze che permetterebbero anche al bovino di prendere coscienza di se stesso, di divenire felino. Infatti, prendere coscienza di qualcosa ha sempre il valore di un cambio di prospettiva.

Dal bollettino meteo non ci sono notizie rassicuranti. La burrasca perdurerà. Al momento siamo solo prossimi all’imbocco del toboga argilloso e sempre più ripido. Chi non procede a testa bassa, concentrato su se stesso, chi si guarda in giro per restare in relazione col mondo, per sentire le vibrazioni d’energia, le sue folate, le sue correnti, lo intravede. E capisce che non ci saranno rami a cui attaccarsi per cercare di fermare se stessi e magari qualcun altro. Vede con chiarezza che là in fondo, dove andremo a finire, tutto brucia.

Là in fondo c’è la battaglia – che sembra fintamente più accettabile che scrivere guerra civile, tasti che bloccano le dita – verso la quale la prima narrazione del SARS-CoV-2/Covid-19, ha preparato il campo. Ha spazzato via il necessario per far esplodere la diffidenza reciproca, per compiere una visione del mondo segnata dall’odio. Con le sue doti ha esponenzializzato vecchi stridori sociali fino alla premessa della loro trasformazione in clangori catastrofici. Una bolgia di terrore e speranza, impreparata ma anche pronta per condirsi di sangue. Un inferno nel quale l’individuo viene meno e con esso la società civile stessa.

Non si tratta di distopia pessimistica, catastrofista. Quantomeno non è questa l’intenzione. La fase successiva, che si è da poco avviata, ha il vaccino come perno. Anche la più avariata sfera di cristallo è in grado di urlarlo a chiare lettere. La battaglia si svilupperà intorno al suo altare. Sulla sua giostra non ci saranno risparmi di forza bianca e nera, di verità e menzogna. Ci si batterà con tutte le armi. Le prime, razionali e scientifiche, non serviranno a nulla: il campo delle emozioni non è contiguo a quello dell’analisi. Seguiranno quelle dogmatiche e autoreferenziali. Ovvero qualcuno si ergerà credendo che il suo titolo e la sua esperienza abbiano valore universale. Ma anche queste si dimostreranno spuntate, almeno per una parte di noi, e dovranno essere presto posate in quanto inutili per mettere d’accordo tutti, per convertire allo scientismo.

Se il governo ritiene il SARS-CoV-2/Covid-19 debellabile definitivamente a mezzo del vaccino di massa critica; se ritiene che il vaccino sia innocuo, che non abbia controindicazioni, che immunizzi e basta, con altissima percentuale; se perciò lo renderà obbligatorio per il bene comune, non avrà alcuna difficoltà a sottoscrivere, contestualmente all’assunzione della vaccinazione da parte del singolo, un documento in cui si ritenga responsabile di eventualità negative per la salute del soggetto stesso. Responsabilità che potrebbero essere quantificate (in 20 milioni di euro?) in caso di morte, danni permanenti, vite stravolte.

Responsabilità che il Potere delle case farmaceutiche produttrici di vaccini è riuscito a eludere, a mezzo di normative a loro favore, in via di promulgazione dall’Unione Europea (SARS-CoV-2 e Covid-19) e dall’Italia (Influenza A). E, non a caso, esistono normative (legge 210/1992 e 238/1997) che prevedono indennizzi e risarcimenti da parte dello Stato per le persone danneggiate dall’assunzione vaccinale.

Diversamente potrebbe fare una pari campagna di informazione sui rischi impliciti nelle vaccinazioni. Potrebbe elencare la ricetta che compone il vaccino inclusi gli elementi normalmente occultati. Potrebbe organizzare un pubblico dibattito tra esperti delle parti avverse. Potrebbe precisare che i non vaccinati non avranno conseguenze di sorta, né trattamenti, accessi, ed altro differenziati rispetto ai vaccinati. Potrebbe così segnare un punto a favore della cosiddetta società civile e smetterla di pensarla bovina.

Sul fronte della comunicazione, al comando degli esperti da un lato e, di quelli che questi chiamano “ciarlatani” dall’altro, si schiereranno i rispettivi popoli. Nel caos della burrasca, che già aveva segnato nel profondo l’equipaggio, senza che nessuno se ne prenda la responsabilità, ci si ritroverà con l’asticella alzata.

E saremo al punto in cui basterà una scintilla.

Ma sarà quello il momento in cui qualcuno si alzerà dalla sedia di regia, soddisfatto del lavoro fatto.

Chi è?

Come chi investe sui morti delle epidemie e fa profitto, c’è qualcuno che prospera sulle guerre, le provoca e riaggiusta i cocci a cose fatte. Così anche in questa occasione dare per scontato che non siano esistite spinte interessate è ingenuo. Ognuno di noi mette in campo spinte interessate, anche nelle relazioni personali. Vuoi che chi più ha potere di uno stato non abbia i titoli per fare il mazziere?

domenica 15 novembre 2020

Tricolore game over

 

 

di Lorenzo Merlo 


Era il 2 giugno 1946. La guerra si era appena spenta. Gli italiani con un referendum, scelsero di istituire una Repubblica in successione al monarchico Regno d’Italia che sussisteva dal 1861.

La nuova condizione era soprattutto spirituale. Tutto il resto erano macerie e fame.

Da quei momenti gli italiani tutti si rimboccarono le maniche sospinti dalla certezza di poter andare oltre il conflitto nazionale e civile appena terminato, attratti dalla luce di un futuro totalmente nelle loro braccia e nei loro occhi.

Nel 1948 si svolsero le prime elezioni politiche che videro il 97% di votanti. Fin da subito emerse uno schieramento tra la fazione cattolica (Democrazia Cristiana) e quelle socialista e comunista (Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano) che avrebbe battagliato e caratterizzato la vita politica del Belpaese nei decenni a venire.

L’anno precedente, il 1947, aveva visto il varo del Piano Marshall. Un progetto statunitense per aiutare l’Europa a riprendersi dal disastro della guerra. (Solo molti anni dopo, si insinuerà l’idea che quel piano fosse una strategia americana per mantenere l’egemonia economica e militare mondiale).

Tra gli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘70 gli italiani seppero risorgere. Se ancora cerchiamo di valorizzare – soprattutto a parole – il Made in Italy, oltre a tutta la storia artistica e alla natura della nostra penisola, lo dobbiamo a quei decenni folgoranti. Artisti e imprenditori illuminati e una crescente consapevolezza sociale li caratterizzarono.

Tra di noi italiani, chiamiamo quel periodo gli anni del boom economico. Da una diffusa e misera condizione agreste sovrapposta ad un analfabetismo consistente, l’Italia passò all’industrializzazione e ad un’ampia distribuzione della ricchezza. Borghi, paesi, montagne e campagne si svuotarono a favore di una migrazione verso i centri metropolitani, soprattutto del Nord Italia.

Col senno di poi perfino le lotte operaie e studentesche degli anni ‘70, nonché la loro parte sanguinante, detta Anni di piombo, a carico delle loro fazioni armate (Brigate Rosse, Avanguardia Nazionale, Falange Armata, Fronte Nazionale, Nuclei Armati Rivoluzionari, Gruppi Armati Proletari, ecc. Wikipedia ne conta 72 di sinistra e 20 di destra), senza escludere la Strategia della tensione, azione di un nostrano deep state di esclusiva matrice parafascista, per quanto contenessero buone intenzioni non seppero o non bastarono ad allontanare la morte dello spirito che fino a quel momento aveva fatto l’Italia. Così, la liberazione da ipocrisie sociali (disuguaglianze) e valoriali (contestazione del qualunquismo borghese) da parte della sinistra e, anticomuniste (destra), per il rischio di divenire un ulteriore satellite sovietico e per reazione a una cultura di sinistra sempre più dominante nella vulgata e nelle istituzioni, restarono sterili battaglie fratricide fine a se stesse, prive di una visione olistica dei problemi. Che non lasciarono il tempo che trovarono ma in negativo: fecero da premessa ad un cambio di rotta che si consegnò dritti diritti in braccio al liberismo. Pure le due italie, quella del nord e quella del sud, nonostante le politiche assistenziali messe in atto da tutti i governi dell’epoca, non produssero l’unificazione che speravano.

Se per gran parte della popolazione, prima c’era una vita di sussistenza, quegli anni famosi e celebrati, contennero anche il virus di una successiva, lenta peregrinazione verso la perdita dell’identità, verso una crescente insoddisfazione. Lo spirito che aveva guidato quelle generazioni verso la luce del futuro, non solo l’aveva raggiunta, assuefatta al nuovo verbo dell’io voglio, l’aveva consumata. Fu l’avvento dell’edonismo. Erano gli anni ‘90 del secolo scorso. L’egemonia dell’individualismo spezzò le reni al senso di comunità, solidarietà, umanità. Nel boom economico l’”Utilitaria per tutti” era stato lo slogan essenziale e trainante per gran parte del popolo a quell’epoca vergine, ingenuo e frugale. Ora l’assuefazione di quello stesso popolo si muove su Suv ed è dedicato all’eccessivo e all’opulente. Lì, gli hanno insegnato, sta il progresso, il senso della vita. Le case, da contenitori di famiglie e persone, sono divenute rimessaggi di merci, accessori, duplicati, tecnologia scambiata per progresso.

La cultura nazionale cedette il proprio spazio, senza proferir parola, allo tsunami globalista. La liberalizzazione delle Tv, la diffusione del Web, la facilità di viaggiare, il presunto diritto al tempo libero, liquefecero (Zygmunt Bauman) i pilastri delle identità culturali locali. I solchi della storia entro i quali si erano sviluppate, si erano riempiti di rifiuti, scarti prodotti dal cosiddetto progresso, e di nuove attrazioni, molto simili ai frammenti di specchio che gli spagnoli mostravano ai nativi per imbambolarli e depredarli. La società era ormai liquida perché nessun valore la distingueva più dalle altre. Il globalismo aveva compiuto la sua opera spirituale.

In pochi decenni la Bella Italia buttò a mare le sue doti: non c’è quasi costa, valle, paesaggio che non sia stato deturpato da un’architettura e da una politica incapace di scegliere per il bene comune. Il turismo – fino a poco sembrava un talento naturale italiano – per politiche clientelari fa ora fatica a richiamare il mondo che a suo tempo aveva celebrato la Bella Italia. In pochi decenni anche la Destra e la Sinistra persero di vista la loro missione originaria. I cosiddetti progressisti non rappresentano più gli strati deboli, sebbene numericamente crescenti. Con l’abbraccio al liberismo si trova a esprimere se stessa secondo una sintassi politica neocapiltalistica. Idonea a prendere le distanze dai suoi ideali ordinari e capace di dialogare e fraternizzare con i detentori dei poteri. La Destra, anch’essa macinata dagli ingranaggi produttivistici, non esprime più nulla della sua verve spirituale.

Così, la credibilità della politica, sviluppatasi sotto il controllo economico-mercantile, non ha più legame con il suo elettorato. Dagli anni ‘70 del secolo scorso, la partecipazione alle elezioni, salvo qualche non significativa interruzione, è sempre scivolata verso il basso.

Le ideologie hanno fatto il loro tempo, sebbene ci sia ancora tutto un popolo che cerchi di tacere la parte restante, tacciandola di fascismo. I grandi valori di emancipazione sociale delle classi meno abbienti si sono trasmutati nella cura di diritti di minoranze che, in una società spiritualmente governata, non avrebbero alcuna necessità di essere protette, in quanto lo sarebbero implicitamente. Il rispetto delle persone, del diverso, ha bisogno di leggi ad hoc soltanto in un contesto culturale dove la prevaricazione, la paura, l’esigenza di sicurezza fanno parte dei pensieri degli individui. Invece, il politicamente corretto è divenuto così un linguaggio, una psicologia. Non attenersi significa offendere qualcuno e avviarsi all’emarginazione.

Nel frattempo debito pubblico e disoccupazione, nonostante generazioni di politici ne abbiano promesso la riduzione, è in costante incremento e, ovviamente, senza possibilità di arresto, ne, tantomeno, di riduzione.

Ora l’Italia è agli ordini globalisti, europei, della Nato americana, del becero mercato intorno al quale, insieme ad altri balla la danza della pioggia di denaro. Ma va ancora per il mondo a sventolare il gran pavese del Made in Italy. E qualcosa riesce a fare, ma solo da parte di qualche iniziativa imprenditoriale privata e solo nei confronti di una clientela internazionale che cerca di sottrarsi alla miseria della postmodernità vantando una San Pellegrino nel proprio carnet di conoscenze. L’incremento di psicopatologie, la diffusione smisurata di farmaci, l’aumento di obesi sono solo tre aspetti che meglio del Pil e delle fanfare autocelebrative rappresentano lo stato italiano e quello occidentale più in generale.

In questi tempi segnati dal virus abbiamo assistito a politiche sulle quali saranno scritti molti libri. In tutti, certamente, non mancherà di essere presente quanto quelle scelte, proclamate in nome della salute pubblica, non vi fosse invece un definitivo segno di sudditanza al mercato, ai poteri forti, alla svendita dell’Italia.

Altrove ho sostenuto – come altri autori ben più qualificati di me – il valore spirituale di una crisi. La crisi è una morte e senza di questa non c’è rinascita.

venerdì 18 settembre 2020

 

Di seguito ospitiamo volentieri l'articolo del giornalista Lorenzo Merlo dal tema "Il diversivo".

Buona lettura!

Simone Boscali

Il diversivo

lorenzo merlo - 300820

Gli stati sono strutture. Architetture desiderate, pensate, progettate, realizzate. Sono destinati a contenere un corpo sociale. Prevedono gangli di controllo e/o gestione normalmente chiamato “sistema”.

Il sistema tende a funzionare secondo la concezione auspicata in modo direttamente proporzionale all’ubbidienza degli elementi privati e associativi che in esso sono ammessi dal sistema stesso.

La disobbedienza mette in crisi il funzionamento e la sopravvivenza dell’organismo sistema.

In tempo di bassa consapevolezza generale il sistema adotta metodi di controllo e gestione ad essa confacenti e soddisfacenti. Quando il gradiente di consapevolezza generale tende a crescere, il sistema a sua volta evolve. Ciò che andava bene prima perde di efficienza e diviene necessario escogitare adeguate infrastrutture.

La Rivoluzione francese prima e l’Internazionale comunista poi – farcite da altre minori espressioni – ebbero il pregio di alzare il livello di consapevolezza comune relativamente ai dictat imposti dai sistemi governativi. L’alfabetizzazione ne accelerò il processo. Per mantenere il controllo e la gestione sociale serviva un’idea.

Gli editori della Carta stampata, imprenditori collusi all’interesse statale, misero in campo il necessario per dirigere le idee.

Il monopolio di radio e tv, moltiplicò il potenziale di fuoco comunicazionale dei giornali. L’ubbidienza generale tendeva ad essere garantita con un certo grado di sicurezza. Le emittenti poi liberalizzate accompagnarono prima il rigurgito violento degli Anni di piombo, poi si sopirono cantando e ballando l’edonismo e l’individualismo come frontiere conquistate. L’opulenza seguente spense del tutto lo spirito di bellezza. Tutti accettarono i suoi alter ego in forma di benefit e centri commerciali. Non è un caso che la voce anarchica – e le sue consimili – fosse ed è per tutti nient’altro che disturbo senza valore, da annientare e dalla quale stare alla larga.

Intanto, sebbene prevalentemente sottotraccia, la consapevolezza generale cresceva. La cosiddetta democrazia lasciava spazi associativi ed editoriali alternativi al sistema. Almeno fino ad un certo punto considerato accettabile, ovvero innocuo, ma anche funzionale alla facciata democratica.

L’avvento del web, presumibilmente liberalizzato per ragioni economico-commerciali, ha in poco tempo manifestato il suo potere di diffusione di quella consapevolezza individuale prima tenuta più facilmente sotto controllo.

Le attuali Major digitali dispongono dei dati utili per recuperare il controllo perduto. I loro clienti non siamo noi ma gli Stati. Il potenziale di fuoco informatico a loro disposizione sostituisce la prima linea che era stata degli editori, dei monopoli di radio e tv.

La logica per il dominio della comunicazione comporta la battaglia tra la crescente consapevolezza degli individui cioè, tra il loro potenziale di disobbedienza e il controllo sociale.

Tutti ne siamo vittime potenziali: le informazioni ci arrivano in quantità e sovrapposte; le fagocitiamo con velocità crescente. È un fatto emozionale, perciò estremamente volatile e inidoneo al pensiero autonomo. Ma non detto sia casuale. Nella guerra della comunicazione può facilmente essere un progetto strategico, opportunamente messa in campo.

Lo scontro tra sistema e individui, in atto sulla scia del mito di Davide e Golia, ha messo in campo un’arma convenzionalmente proibita dalla cosiddetta democrazia: la censura.

La Voce del Padrone ormai non fa più paura a tanti. Loro sanno e reagiscono. Comitati scientifici e dichiarazioni di fake news nei confronti di tutto ciò che non corrisponde al sistema sono altri due espedienti del momento. La generale reazione impaurita e la relativa obbedienza ottenuta ne dimostrano l’efficacia. Il sistema riesce ancora a tenere il controllo.

Tuttavia forse l’argine si è rotto. Non in un punto solo, ampio ed evidente, dove sarebbe facile portare provvedimenti. Ha ceduto in mille piccoli luoghi di improbabile controllo.

Si rende necessario un altro espediente che abbia la forza di riportare l’attenzione dove serve, che sappia distrarre dalle ragioni della disobbedienza, che distragga dalla crescita di consapevolezza.

In quest’ottica il 2019-nCoV o – secondo la nuova definizione – il Sars-CoV-2, fa al caso loro.

Voluto o casuale è un diversivo che vale 1000 Champions League. Con la presunta pandemia in essere il controllo può essere mantenuto. La paura permette di trasmutare in untore il vicino di casa, l’avventore che entra in negozio mentre noi usciamo. Permette di ubbidire a ordini da mandriani.

L’eventualità di un sistema mondiale in via di riassetto appare oggi assai probabile. In essa vengono meno quelle conquiste sociali e individuali che appena la generazione passata concepiva come permanenti. I ciarlatani, così loro li chiamano, si stanno organizzando, ma il loro nemico non è più il sistema, la sua polizia, la sua burocrazia. Gli Ufficiali dispongono ora di reggimenti di proboviri che mai avevano sognato di comandare. Sono divisioni di vicini di casa.

Sovranità, debito pubblico, diritti del lavoro, scuola, sanità, infrastrutture edili, burocrazia, serietà morale fanno acqua a profusione. Un’evidenza disastrosa e paracriminosa, sufficiente a farci abbandonare la nave, eppure da loro presentata, e da noi vissuta, come un’ineluttabile realtà.

Il nuovo assetto di controllo è in osservazione. Su come andranno le cose pare tutto già scritto. L’ordine del mondo renderà ulteriormente ubbidienti anche i sistemi degli Stati. Che saranno sempre di più inginocchiati ad ubbidire a loro volta secondo i comandi ricevuti. Il virus diversivo ha compiuto il suo scopo. La vera pandemia è nelle menti. Quella delle corsie di terapia intensiva non è niente al confronto. Attendiamo nuovi giri di vite.

Prendere consapevolezza della logica del Sistema resta disponibile a tutti, purché non in preda a diversivi vari. Il libero pensiero ne risentirebbe. La dicotomia tra spirto e coscienza anche.

[In scia: https://www.ereticamente.net/2020/08/linvasione-degli-ultracovid-livio-cade.html?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=linvasione-degli-ultracovid-livio-cade]

venerdì 7 agosto 2020

"Asintomatico", il nuovo peccato originale

 

da Simone Boscali


A dimostrazione ulteriore di come la vicenda covid sia stata imposta a suon di meccanismi tipici delle religioni più che dell'ideologia, abbiamo un parallelo interessante.

Nel cristianesimo accademico è presente il tema del “peccato originale”. Lungi da me dissertare su questo concetto in quanto tale (sono anch'io cristiano), quello che interessa è spiegarne la funzione, ossia convincere il fedele che a dispetto della propria condotta personale cristallina egli è sempre macchiato dalla nascita di un qualcosa che lo rende impuro, una colpa che non ha commesso (“azz, dove l'ho messo il peccato originale? L'avevo qui in tasca...”) e che nonostante questo lo condiziona e che va espiata con l'assoluto sottostare alla dottrina.

In parole povere un meccanismo di mortificazione anche delle persone migliori e di controllo sociale.

Ecco, in quest'epoca di decadenza di ogni forma di spiritualità, il vuoto lasciato dall'idea di peccato originale, cui la società s-cristianizzata non vuole più sottostare, è stata ora sostituita efficacemente da quella dell' “asintomatico”.

In quest'epoca di [presunta] epidemia una persona non è più libera di sentirsi sana, così come sotto le ere oscure della Chiesa non era libera di sentirsi pura da ogni colpa.

Chi si sente bene, ha cura di se stesso e non ha contatti a rischio con alcuno da tempo, è comunque macchiato di una colpa originale del tutto analoga a quella religiosa: è un potenziale asintomatico, un temibile portatore del nuovo peccato, ossia il contagio, senza nemmeno saperlo e per di più occultato.

Praticamente un posseduto dal demonio... e in quanto tale la persona non può circolare liberamente ma deve mortificarsi allo stesso modo di chi nei tempi che furono si batteva continuamente il petto a suon di “mea culpa” non per qualcosa che aveva fatto, ma per qualcosa di cui lo avevano convinto.

E la mortificazione di oggi è l'utilizzo delle assurde mascherine che ci ostiniamo a chiamare “chirurgiche”. Basandosi sulle stesse informazioni dei produttori non ci vuole un gran ragionare per comprenderne la quasi totale inutilità a livello sanitario trattandosi di uno strumento che non protegge per nulla la persona che la indossa e che alla meglio trattiene l'emissione di batteri (ma il coronavirus si chiama così proprio perché non è un batterio...) e i virus unicamente contenuti nelle goccioline di saliva lasciando allegramente sfuggire gli altri...

… a patto ovviamente che la persona li abbia 'sti virus, che sia infetta. Perché a fronte di una immensa maggioranza di persone sane, l'utilizzo di una mascherina che dovrebbe in teoria trattenere in ciascuno le sue schifezze ha senso solo presumendo che quella persona sia infetta, cosa che nella realtà non ha riscontro.

Per questo la mascherina è uno strumento di controllo, di sottomissione, un marchio grazie al quale identificare facilmente grazie all'esposizione del nuovo simbolo religioso il fedele e l'infedele, la pecorella ubbidiente e quella smarrita da recuperare e convertire.

E quel che è peggio è che si tratta di un marchio che di fatto il “fedele”, il nuovo “peccatore” che ha paura di se stesso perché potrebbe essere un malato che non lo dimostra, l'inconsapevole sano che crede di essere un asintomatico, il simbolo se lo colloca di sua volontà.

E così come chi si lascia condizionare dall'idea di peccato originale, anche chi teme di essere sempre e comunque un potenziale untore percorre il triste destino dell'essere umano che si trattiene e limita l'espressione del proprio, divino pontenziale.